Gli errori da evitare a casa: "Cosa fare col Covid"

Cortisonici, eparina, antibiotici, antinfiammatori non steroidei, paracetamolo e tanto altro: cosa si può o non si deve assumere quando si è malati di Covid in terapia domiciliare? Ecco cosa ci ha detto un esperto

Gli errori da evitare a casa: "Cosa fare col Covid"

Chi si ammala di Covid non sempre finisce in ospedale, anzi: la stragrande maggioranza delle persone con l'infezione guarisce spontaneamente dopo alcuni giorni o dopo aver seguito un protocollo di cure e terapie a domicilio previo consulto con il proprio medico.

Quali sono le linee guida

No alla somministrazione immediata di cortisone, antibiotici ed eparina, sì a paracetamolo e agli antinfiammatori non steroidei, i cosiddetti FANS (Farmaci Antinfiammatori Non Steroidei come Brufen, Aspirina, Oki o Aulin). Il controllo della saturazione dell'ossigeno nel sangue deve essere costante, ma la segnalazione al medico va fatta quando questa scende sotto il 92%. Dopo un anno dall'inizio della pandemia, il Ministero della Salute rivede ancora le linee guida per le terapie domiciliari dei pazienti Covid-19: la circolare firmata da Giovanni Rezza, Direttore della Prevenzione per il ministero stesso, chiarisce in 26 pagine quali sono gli aspetti a cui attenersi per tutti i pazienti asintomatici o paucisintomatici che non hanno bisogno delle cure ospedaliere, tant'è che il documento si intitola "Gestione domiciliare dei pazienti con infezione da Sars-Cov-2".

"Evitare il fai da te"

"Anticipo una cosa: qualsiasi cura, anche domiciliare, non va considerata come un fai da te ma va effettuata soltanto dopo aver consultato il proprio medico o, se lo si ritiene, lo specialista. Bisogna sottolineare che il fai da te, il sentito dire ed internet, sono spesso la maggiore fonte di guai, la malattia più grave", afferma a ilgiornale.it il Prof. Renato Bernardini, Professore ordinario di Farmacologia all'Università di Catania e membro del Consiglio Superiore di Sanità, il quale sottolinea fermamente come le terapie domiciliari vadano "concordate preventivamente con un medico di famiglia e/o dell'USCA che, sulla base dei sintomi che vengono descritti e riportati, stabilisce che tipo di terapia prescrivere, come e quanto farla durare e se c’è necessità o meno di ospedalizzazione". Per quanto riguarda le linee guida delle terapie domiciliari per il Covid, ci dice il professore, "c’è una folta giungla di informazione che spesso ha portato a commettere degli errori per superficialità". Adesso prenderemo in esame, una per una, le voci più importanti.

I cortisonici

La prima domanda da fare ed il primo errore da non commettere è il seguente: perché quando si ha un tampone positivo e non si hanno sintomi o se ne hanno pochissimi (leggera febbre o tosse) non vanno fatti i cortisonici? "Perché, prima di tutto, sono dei farmaci che hanno un effetto immunosoppressore: sopprimono quella risposta immunitaria che, inizialmente, è molto utile per combattere l’infezione virale. Quindi, i cortisonici sono da utilizzare solo nei casi moderati o gravi quando si è già instaurata la polmonite e c’è un’infiammazione importante", ci dice il Prof. Bernardini. Per fare in modo che questa possa diminuire, si danno dei potenti antinfiammatori come i cortisonici ma soltanto in quel caso, non vanno presi come fosse acqua fresca e difficilmente vengono utilizzati quando si è in casa a meno che non sia il medico a stabilirlo. "In terapia domiciliare, normalmente, non ci sono pazienti con questo livello di gravità: non è una cura appropriata e non va data. Qualora, invece, la saturazione dovesse scendere al di sotto dei 92, limite soglia critica, probabilmente siamo in presenza dell’inizio di una patologia polmonare. Il medico, solo il medico, potrà allora decidere se è opportuno iniziare una cura con i cortisonici", aggiunge.

L’eparina

Anche in questo caso, c’è un criterio di distinzione tra pazienti che hanno una malattia lieve oppure sono asintomatici o paucistintomatici in cui non ha senso prescrivere l’eparina che serve a prevenire gli eventi tromboembolici del Covid. Quando si manifestano? "Soltanto nelle fasi avanzate della malattia, quando si è già instaurata una polmonite: se l’infiammazione si espande e coinvolge anche vasi sanguigni e piastrine, in questo caso c’è il rischio altissimo di formazione di trombi o malattie di tipo tromboembolico per cui, l’intervento con l’eparina, risulta molto utile ed efficace", afferma Bernardini, che aggiunge come le linee guide siano un po’ incomplete da questo punto di vista perché non dicono "che l’eparina deve essere utilizzata soltanto in alcuni pazienti". Ma come si fa a sapere se un paziente sta andando incontro ad un evento tromboembolico? "Con le analisi di laboratorio, dosando, per esempio, il D-dimero ed il fibrinogeno: in presenza di valori elevati, a quel punto c’è l’indicazione per utilizzare l’eparina, cosa che le linee guida non dicono, si parla solo di pazienti allettati, quindi immobili. Ma questo avviene anche per persone con fratture e altri obbligati a a letto, non rappresenta un criterio di selezione dei pazienti nell’ambito del Covid. Quindi, è importante fare degli esami di laboratorio sulla coagulazione e controllare la saturazione prima di intraprendere il trattamento eparinico".

Antibiotici

Chi pensa che una terapia a base di antibiotici sia utile per curare il Covid si sbaglia di grosso ma non è soltanto colpa dei pazienti: come vedremo, le linee guida del Ministero non sempre sono chiare sulle terapie domiciliari. "Non servono gli antibiotici, non servono a meno che nel paziente affetto da Covid non si sospetti una super infezione batterica. In quel caso sono obbligatori, ma l’utilizzo fatto fino ad oggi con l’intento di combattere l’infezione virale è un utilizzo scriteriato e senza alcuna base scientifica - sottolinea il farmacologo - Anche qui, le linee guida sono poco chiare perché dicono che l’antibiotico va bene ma bisogna aspettare l’esame colturale o attenersi a un criterio clinico, per cui è necessaria un'attesa di 48-72 ore. La mia domanda è: in questo lasso di tempo che si fa? Va preso subito un antibiotico ad ampio spettro nell’attesa dei risultati dell’esame colturale che ci permetterà di identificare nel frattempo il farmaco più appropriato".

Antinfiammatori non steroidei (FANS)

Nel caso degli antinfiammatori, c'è anche uno studio italiano che dimostra un miglioramento del quadro clinico nei pazienti trattati con aspirina, ibrupofrene ed altri farmaci appartenenti agli antifiammatori non steroidei. Il merito va diviso fra il Prof. Giuseppe Remuzzi, Direttore dell'Istituto per le Ricerche Farmacologiche Mario Negri ed il Prof. Fredy Suter, ex primario di malattie infettive all'Ospedale di Bergamo, che hanno messo a punto "una strategia recepita nelle linee guida che ha un razionale scientifico molto forte ed un utilizzo estremamente semplice e non presenta rischi particolari", afferma Bernardini. "In seguito alla presenza di un tampone positivo e qualche piccolo sintomo che non abbia compromesso funzioni più elevate, si rivela molto utile cominciare subito ad assumere FANS, soprattutto quelli che inibiscono un enzima chiamato COX-2, che riccamente rappresentato nei processi infiammatori". In prevenzione, quindi, il consiglio è di prendere nimesulide, oppure aspirina, oppure ibuprofene oppure celecoxib due volte al giorno per più giorni. "Seguendo questo protocollo, su 90 pazienti trattati, soltanto due sono finiti in ospedale mentre, nel gruppo dei non trattati, ne sono finiti in ospedale circa una ventina su novanta". È una terapia semplice, alla portata di tutte le tasche (pochi euro) e che comporta un certo grado di protezione: "un altro vantaggio è che si tratta di farmaci di cui si conoscono molto bene tutti i profili, sia di efficacia che di tossicità", aggiunge il farmacologo.

Paracetamolo

Tra i più "amati" nelle terapie domiciliari c'è la tachipirina che tutti noi abbiamo in casa. Attenzione, però: non è certamente il farmaco che cura il Covid. "Il paracetamolo ha una molto blanda azione antinfiammatoria rispetto all’aspirina o all’ibruprofene mentre possiede spiccate proprietà antipiretiche, quindi efficace contro il rialzo patologico della temperatura corporea (febbre). Se qualcuno affetto da Covid presenta febbre alta, può assumere, al bisogno, paracetamolo. Non si deve, però, pensare di ottenere così anche un effetto antinfiammatorio - sottolinea il Prof. Bernardini - Come terapia per il Covid, il paracetamolo è stato malamente sdoganato per superficialità di alcuni operatori del settore: quando alcuni pazienti chiamavano per la febbre, veniva prescritto paracetamolo per alcuni giorni e ciò ha comportato il fatto che la gente la interpretasse erroneamente come terapia per curare il Covid, trascurando altre opzioni", ci dice.

"Controllare la saturazione"

Oltre a quelle elencate, le più importanti, altre raccomandazioni contenute nelle linee guida delle terapie domiciliari consigliano di tenere sotto controllo la saturazione almeno tre volte al giorno per poter riportare al medico i propri valori. "Da qui nasce l’importanza di consultare sempre il proprio medico, che va informato di ogni cambiamento. Solo il medico può infatti capire se il cambiamento è importante per eventuali aggiustamenti della terapia". Un ipotecico algoritmo sulle terapie che abbiamo chiesto al Prof. Bernardini potrebbe essere il seguente: "tampone positivo e pochi sintomi= 10 giorni di trattamento con FANS; febbre alta=paracetamolo al bisogno; mai corticosteroidi ed eparina in fase precoce; antibiotici utili soltanto in presenza di un’infezione batterica accertata". Per i più piccoli al di sotto dei 18 anni, la situazione è la stessa. "Le regole non cambiano, la limitazione è che alcuni FANS possono essere controindicati al di sotto dei 14 anni e va verificato di volta in volta quale utilizzare, il medico sa bene quale scegliere".

A che punto siamo con i monoclonali

Come procede la cura con i monoclonali che vanno somministrati entro pochi giorni dalla comparsa dei sintomi da personale ospedaliero? "Furono proposti ad ottobre, in contemporanea agli Stati Uniti. Il ministro Speranza, il 3 febbraio, ha firmato il via libera alla loro introduzione in Italia (tra i primissimi Paesi EU): la fornitura è iniziata subito con qualche migliaio di pezzi ed oggi disponiamo di un’ottima fornitura. Vanno somministrati nei primi sette giorni altrimenti perdono di efficacia, bisogna anticipare la progressione dell'infezione e della malattia". Ma i monoclonali non sono per tutti: di volta in volta, sarà il medico a proporre alla struttura ospedaliera un certo tipo di paziente con caratteristiche tali che porterebbero la gravità della malattia ad uno stadio avanzato. "Ci sono dei criteri di inclusione per i pazienti a cui somministrarli e la somministrazione è, per il momento, esclusivamente ospedaliera, viene effettuata per via endovenosa.

Adesso, però, ne arriveranno sul mercato anche altri somministrabili sottocute, fatto vantaggioso perché si potranno somministrare anche a casa e saranno anche efficaci contro diverse varianti del virus", conclude il Prof. Bernardini.

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