Faccia da mostro e una donna misteriosa: le parole di Armando Palmeri

Una donna misteriosa e un identikit dimenticato; Armando Palmeri conferma la sua versione dei fatti e rivela dettagli inediti

Faccia da mostro e una donna misteriosa: le parole di Armando Palmeri

Errare è umano. E i giornalisti non fanno certo eccezione, anzi. E quando capita di sbagliare, di scrivere cose inesatte, il minimo che si possa fare è ammetterlo e fare ammenda.

Perché questa premessa? Perché ci è stato segnalato un errore in un precedente articolo. Un errore che – da quanto ci è stato riferito – ha provocato non pochi malumori. In una recente intervista al collaboratore [ex, secondo qualcuno, ndr] di giustizia Armando Palmeri, braccio destro del boss alcamese Vincenzo Milazzo, in relazione a un episodio di cui parla nel suo libro di recente pubblicazione [i tentativi – vani – di liberare il piccolo Giuseppe Di Matteo, ndr], gli avevamo chiesto chi fosse “la donna della Dia” con cui aveva effettuato un appostamento e che, in una seconda occasione, aveva incontrato in compagnia di “faccia da mostro, quel Giovanni Aiello ormai noto alle cronache.

E l’errore sta proprio qui. Nel libro, in effetti, mai si attribuisce a questa misteriosa donna un ruolo nella Dia. Dunque comprensibile l’irritazione di quelle donne che all’epoca – parliamo di un periodo compreso tra il 1993 e il 1994 – hanno prestato servizio nella Dia e che mai – da quello che ci è stato riferito e assolutamente non abbiamo motivo di credere il contrario – hanno avuto a che fare con Giovanni Aiello.

Di questo ci scusiamo sinceramente.

Il passaggio controverso

Ora però ci sia concesso di spiegare la genesi dell’errore. Tutto nasce da un’interpretazione, evidentemente errata, di un passaggio ben preciso del libro di Armando Palmeri, scritto insieme al reporter Stefano Santoro. Abbiamo avuto il permesso di citare letteralmente il passaggio. Eccolo qui:

“Dopo qualche giorno mi viene in mente un covo riservatissimo lontano da occhi indiscreti, è sotto il controllo diretto di Mariano Agate (capo indiscusso della famiglia di Mazara del Vallo TP). Il covo si trova nelle campagne del comprensorio di Mazara. [...] Sono convinto che il piccolo Giuseppe [Di Matteo, ndr] possa essere in quel posto. Vale la pena attenzionare il sito. Avverto il personale della DIA e così ci diamo un appuntamento poco prima che si potesse imboccare l’unica via d’accesso. Così, quando ci incontriamo in luogo prefissato, il personale DIA mi dice che avremmo dovuto aspettare qualche momento ancora per attendere altra persona. Quando questi [sic] arriva constato che si trattava di una donna con attitudine e prossemica di comando. Gli agenti erano intimoriti da quella figura. In breve [la donna, ndr] ordina agli stessi di tenersi a distanza e che avremmo fatto il sopralluogo io e lei da soli, in modo da poter sembrare una coppia alla ricerca di un posto appartato. [...] La rividi allorquando decisi di interrompere ogni rapporto con la DIA, essendomi chiaro che non vi era alcuna volontà di liberare il piccolo Giuseppe Di Matteo [...] mi chiesero un ultimo appuntamento e ci spostammo sotto un viadotto autostradale di Cinisi (PA). Era buio. Spente le luci scesero [gli uomini della Dia, ndr] fulmineamente dalla macchina, non li potei più vedere, quando ad un tratto sopraggiunge una moto che si dirige dritta e con fari abbaglianti accesi in direzione dello sportello posteriore ove ero seduto. Pensai volessero uccidermi così con uno scatto fulmineo mi avventai contro la moto scaraventandoli a terra. Come detto, uno degli occupanti della moto era lei, l’altro che guidava un uomo molto brutto. Successivamente vidi la sua foto sui giornali e lo riconobbi. Si trattava di Giovanni Aiello”.

Leggendo di una donna con “attitudine e prossemica di comando”, che riesce a intimorire degli agenti della Dia - in quegli anni e in quel contesto geografico senz’altro abituati a situazioni ben particolari -, una donna che addirittura “ordina” a quegli stessi uomini di restarsene in disparte durante un’operazione così delicata, beh, ci sia concesso l’errore di averle attribuito una funzione se non di comando, quanto meno di appartenenza alla Dia. Anche perché, se così non fosse, i casi sono due: o Armando Palmeri ricorda male oppure una donna che non apparteneva alla Dia aveva il potere di comandare su agenti che invece alla Dia facevano capo. E se non era della Dia, a chi rispondeva quella donna? È davvero possibile una cosa del genere?

Abbiamo ricontattato Armando Palmeri per chiedergli conferma di quanto scritto nel suo libro e ragionare con lui su quella che – lo ripetiamo – è stata una nostra interpretazione apparentemente logica ma evidentemente sbagliata.

“Vige la logica dell’illogico”, esordisce Palmeri, che delle critiche al nostro articolo era già a conoscenza, “quindi quando io ti vado a dire che ci sono uomini della Dia e che poi sopraggiunge un’altra persona... io non faccio deduzioni, non dico che sia della Dia perché non la conosco, a me non risulta che fosse della Dia. Si muoveva con atteggiamenti da superiore, va bene, ma non è detto che fosse della Dia, non sappiamo di cosa si tratta. Ora faccio una supposizione, può avere avuto [la donna, ndr] anche un mandato dal ministero degli Interni, no?”

Una non risposta. Non che ci aspettassimo altro, dopotutto è vero: Palmeri nel suo libro riporta un fatto, ma non giunge a conclusione come abbiamo fatto noi. Tentiamo allora di approfondire un altro aspetto che nel libro viene riportato, ma che resta sulla superficie. Parliamo del secondo incontro con la donna, stavolta in compagnia del poliziotto dei misteri, quell’Aiello sospettato di aver fatto da cinghia di trasmissione tra le istituzioni (deviate?) e la criminalità organizzata.

L’episodio riportato da Palmeri è singolare e per certi aspetti lacunoso: durante un ultimo incontro per interrompere la sua collaborazione con la Dia, il collaboratore viene caricato su una di due macchine che arrivano a prelevarlo e viene portato sotto un cavalcavia. Una volta parcheggiato, nel buio più totale, gli agenti delle due macchine scendono, lasciandolo seduto sul sedile posteriore, con la luce dell’abitacolo accesa. Sopraggiunge in quel momento una moto e Palmeri, temendo un agguato, reagisce con veemenza. Fin qui il suo racconto. Manca però un tassello importante: cosa succede una volta che faccia da mostro e la misteriosa donna vengono fatti cadere? Non viene scambiata neanche una battuta?

“Quando scendo dalla macchina e mi avvento sulla moto ero davvero convinto che stessero per spararmi. A quel punto non mi sono fermato ma ho cercato di aggredirli una volta a terra. In quel momento sono sbucati fuori dal buio gli agenti della Dia che mi hanno fermato. Io credo – ma questa è una mia supposizione e lo voglio sottolineare – che avvicinandosi con la moto alla macchina, la donna volesse solamente mostrare ad Aiello il mio volto e che magari subito dopo si sarebbero allontanati. Dopotutto, io dall’interno dell’auto non avrei potuto scorgere i loro volti”.

La descrizione perfetta della donna misteriosa

Una supposizione interessante, che se fondata aprirebbe interrogativi inquietanti, ma che è ovviamente impossibile da riscontrare. Giovanni Aiello è morto nell’agosto del 2017, mentre la donna non è mai stata identificata. Almeno non da Palmeri, a cui chiediamo uno sforzo di memoria per ricordare come fosse fatta.

“Capelli castani, ricciolini, un po’ gonfi e lunghi fino alle spalle. Non ho rilevato inflessioni dialettali, abbiamo scambiato troppe poche parole. Sarà stata alta tra 1.60 e 1.65. Ricordo la mascella. Era poco femminile, come in generale i tratti somatici. Di corporatura era atletica, robusta, anzi, direi compatta. Avrà avuto la mia età, tra i 30 e i 35 anni. Occhi scuri, naso regolare. Non posso escludere che indossasse una parrucca. In generale l’aspetto era mascolino e da come si muoveva tradiva una formazione militare.

Che dire? Una memoria di ferro. Viene da chiedersi, allora, perché fino ad oggi a Palmeri non sia stata mostrata nemmeno una foto. Sarebbe bastato un identikit basato sulla sua descrizione, come l’identikit diffuso a mezzo stampa esattamente lo stesso giorno in cui si è tenuta questa seconda intervista. Parliamo dell’identikit fatto dai carabinieri e ritrovato dalla Commissione antimafia, relativo alla donna vista da un testimone in via dei Georgofili, dove di lì a poco sarebbe esplosa una bomba che avrebbe ucciso 5 persone [Firenze, 27 maggio 1993, ndr].

“Se aggiungiamo dei capelli lunghi alla donna di questo identikit, la somiglianza c’è. Soprattutto per la forma del volto, per la mascella squadrata. Ma dovrei vedere una foto a figura intera. Se vedessi un video non potrei sbagliare”.

In conclusione cosa possiamo dire? Per l’ennesima volta ammettiamo il nostro errore nel precedente articolo: non era nostra intenzione muovere accuse o illazioni. Però a questo punto la domanda si fa ancora più interessante. Dando per buone le dichiarazioni di Palmeri, se non era della Dia, chi era quella donna? Forse gli uomini presenti nelle due occasioni di cui parla l'ex braccio destro del boss di Alcamo potrebbero ricordare qualcosa? Prima di lasciarci, un’ultima volta chiediamo ad Armando Palmeri se conferma le sue dichiarazioni, conscio del fatto che – se stesse mentendo – potrebbe passare dei guai:

“Io aspetto qualcuno

che mi quereli, voglio battagliare in un’aula di giustizia. Perché se dico menzogne non mi querelano? Loro hanno il dovere d’ufficio di querelarmi. Perché non mi sono mai state mostrate delle foto? Non vi sembra strano?”.

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