Non c’è democrazia occidentale o dittatorello terzomondista che abbia esigenze di intelligence paragonabili alle nostre, di noi genitori. Ai tempi del diario era un’altra vita: prima o poi, a noi che allora eravamo figli, una svista capitava, tipo lasciare il diario fuori dal doppiofondo della borsa da calcio, nascosta sotto quattro livelli di tute ginniche, di parastinchi e di racchette da tennis. A quel punto, i servizi segreti di casa aspettavano tranquillamente che uscissimo e il controllo politico arrivava fino alla più capillare informazione, pagina dopo pagina, nome dopo nome, cuore dopo cuore, numero di telefono dopo numero di telefono, fino ai più inconfessabili fatti personali, tipo Lucia ti odio, sei proprio una gran...
E se non era il diario, era quel maledetto telefono a muro, uno solo per tutti quanti, avvitato coi tirex alla parete: altro che scendere in giardino o defilarsi sul terrazzo, con Lucia bisognava parlare lì, a voce bassissima, anche per dirle le cose più rabbiose, sì, sei proprio un gran, ma per quanto sussurrate fossero le nostre cosine intime, alla Cia di famiglia non sfuggiva una sola informazione. E il dossier era completo. Adesso che i genitori siamo noi, non è più vita. Le moderne tecnologie rendono il controllo poliziesco sempre più arduo.
I nostri ragazzini si rintanano in Internet e sgusciano via. Ne sono consapevoli per primi i grandi gestori di queste nuove piazze telematiche, dove i piccoli non dovrebbero neppure stare, madoveregolarmentestanno, meglio e più assiduamente dei grandi, con tutti i rischi che sappiamo. I signori di «Facebook» riconoscono che è sempre più difficile far rispettare i limiti di età nel loro socialnetwork americano: sotto i 13 anni sarebbe vietato partecipare senza il consenso dei genitori, ma si è calcolato che sono ormai 7,5 milioni i bambini che trasgrediscono, 5 milioni addirittura sotto i 10 anni. Dannazione, quant’è difficile il mestiere del genitore.
È chiaro che qualcosa bisogna inventarsi. Non rassicura l’idea che i nostri figli più piccoli razzolino senza difese sui terreni impervi di quel sito, affascinante in positivo e satanico in negativo. Gli stessi dirigenti di «Facebook », secondo quanto informa il Wall Street Journal , stanno studiando qualche soluzione. Benchè non sia chiaro se si muovano a tutela delle nostre creature o piuttosto delle loro responsabilità legali, sembra comunque imminente una tecnologia che consentirà ai bambini di entrare in «Facebook», però sotto il controllo diretto dei genitori.
Tecnicamente, senza farla troppo lunga, il meccanismo prevede che gli account dei figli siano collegati a quelli di padri e madri. In questo modo, è come accompagnarli in giro con il guinzaglio: soltanto i genitori potranno autorizzare le «amicizie»e le eventuali applicazioni da utilizzare. Così la moderna tecnologia a difesa dalla moderna tecnologia. Mosse e contromosse. Poi però sappiamo bene come funziona la delicatissima faccenda, da sempre: è inutile struggersi nel sogno impossibile di controllare davvero, fino in fondo, i nostri figli. Certe volte non ne abbiamo neppure i titoli.
Ci sono padri e madri fantastici: urlano come aquile perchè i ragazzini sono sempre su «Facebook », non mettono più il naso fuori, hanno sentimenti e vitalità da sarcofago, poi appena esauriscono la sfuriata si siedono tranquillamente al computer e stanno per ore su «Facebook». Più dei loro figli. Sarebbe il caso di chiederci, onestamente: chi controlla chi? Poche illusioni: il controllo totale, anche nell’era digitale,è un valore fasullo.
Può aiutare, ma non elimina i rischi. Oggi come allora, il sogno vero nel difficile mestiere dei genitori non è difendere i figli da tutti i rischi: è regalare loro le armi e le forze perchè sappiano difendersi da soli.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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