Un piccolo Stato, benché con un'antica, gloriosa ed eroica storia alle spalle, l'Ungheria, è riuscito a diventare al tempo stesso un tormento per la Ue e una Mecca del sovranismo, un modello a cui - secondo alcuni - dovrebbero ispirarsi Paesi ben più rilevanti come l'Italia. È il «fattore O», dove O sta ovviamente per Orbán, da affrontare partendo da due punti di vista, da tenere separati.
Il primo è quello valoriale: quale Europa, ma anche quale Italia, desideriamo. Qui è stato chiarissimo Berlusconi, nell'intervista pubblicata su questo Giornale ieri: la nostra Europa, e quindi anche la nostra Italia, non sono quelle di Orbán. Forza Italia, come tutto il Ppe, ha votato a Bruxelles la mozione di condanna dell'Ungheria. Non è stata una iniziativa della sinistra, e infatti non occorre essere socialisti o comunisti per riscontrare nel regime ungherese forti tratti ostili alla libertà individuale, via via più coriacei con il passare del tempo. Non è ancora una dittatura, come possiamo definire la Russia di Putin o la Turchia di Erdogan, ma è certamente più vicino a quel modello che alla democrazia liberale. Ma si vota, in tutti questi Paesi! Certo, però, come spiegano Sergei Guriev e Daniel Treisman, nel volume fondamentale Spin dictators, le elezioni, in quei regimi, sono uno strumento di propaganda, anche perché non davvero contendibili. Del resto, anche Hitler salì al potere grazie al 33% alle elezioni del novembre 1932.
Chiarito questo elemento, cosa fare con l'Ungheria? Qui rientra il secondo piano di discorso, quello realistico-geopolitico: umiliare Budapest potrebbe spingere Orbán a colpi di testa e, se non esiste una procedura di espulsione dalla Ue, ve n'è una di uscita, come si è visto con il Regno Unito. Corteggiato da Cina e da Russia, di cui è già buon amico, e minacciato di non ricevere più i fondi Ue, egli potrebbe decidere una «Budexit»? Una preoccupazione che ha smosso anche l'amministrazione statunitense di Biden, non certo sospettabile di simpatia ideologica verso Orbán, l'amico di Trump.
Nel nuovo scenario di divisione del mondo, l'Occidente non può permettersi di perdere pezzi e di farli acquisire al campo avversario.
Lo sanno bene, di nuovo, gli Usa che, dopo l'invasione dell'Ucraina, hanno riallacciato con l'Iran e persino con il Venezuela, per cercare di strapparli alla morsa sino-russa. Forse sarà il caso di riprendere il vecchio adagio attribuito a Nixon, sui figli di buona donna che però sono i nostri figli di buona donna, e ci servono.
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