Femminicidio a Messina, condannati i magistrati: "Non fermarono l'assassino"

La Corte d'Appello di Messina ha condannato i magistrati per non aver agito in tempo per salvare una donna uccisa dal marito nonostante le numerose denunce

Femminicidio a Messina, condannati i magistrati: "Non fermarono l'assassino"

Un uomo violento, le numerose denunce della moglie e infine la tragedia annunciata che si consuma: un copione già visto troppe volte in Italia.

Questa volta però, la triste vicenda non si chiude qui. A finire alla sbarra questa volta non è solo il marito violento diventato assassino, ma anche i pm che con la loro grave inerzia hanno consentito all'omicida di uccidere la compagna.

La Corte d'appello di Messina, infatti, ha condannato i magistrati che lasciarono nella possibilità d'agire il marito violento. Marianna Manduca, la vittima, aveva denunciato il marito, Saverio Nolfo, ben 12 volte prima di essere uccisa da quest'ultimo a soli 32 anni.

La vicenda

Si tratta di una storia che risale a dieci anni fa e che aveva destato molto clamore a Palagonia in provincia di Catania, dove si è consumata la tragedia. Dopo i primi segnali di escalation della violenza la donna ha presentato le prime denunce formali, sottovalutate dai magistrati nonostante le testimonianze e il racconto della vittima, minacciata chiaramente di morte dal marito che le ha mostrato il coltello, lo stesso con la quale poi ha messo fine alla sua vita.

Nolfo, dopo aver ucciso Marianna con 6 coltellate al petto e ferito il padre intervenuto per difenderla, è andato a costituirsi consegnando il coltello che aveva mostrato alla moglie decine di volte dicendole: "Io con questo ti uccideró". Oggi, Nolfo si trova in carcere dove sta scontando 20 anni per omicidio. La coppia aveva tre figli, rimasti orfani.

La sentenza

Oggi, a dieci anni dall'omicidio della donna, c'è stata anche un'altra sentenza: la Corte d'Appello di Messina ha stabilito che ci fu dolo e colpa grave nell'inerzia dei due pm che allora lavoravano a Caltagirone e che, dopo i primi segnali di violenza da parte del marito, non trovarono il modo di fermarlo, nonostante le reiterate denunce della donna. La Corte ha condannato al risarcimento delle parti civili anche la Presidenza del consiglio dei ministri.

I giudici, stando a quanto scrive il quotidiano online di Messina TempoStretto, hanno riconosciuto il risarcimento ai figli, rimasti orfani per l'inerzia dei magistrati che non hanno impedito l'uxoricidio. A intentare il processo è stato il padre adottivo dei bambini, che chiedeva al Tribunale di Messina di stabilire se ci fossero responsabilità dei magistrati che si occuparono della vicenda, dopo le prime denunce di Marianna contro il marito.

La sentenza, che riconosce la responsabilità civile del magistrato per i soli danni materiali, è destinata a diventare storica. Secondo Lucia D’Amico, la legale dell’uomo, si tratta di una sentenza storica sulla responsabilità civile dei magistrati ed è "un’importante precedente perché di solito è molto complicato che vengano condannati dei giudici".

I legali catanesi, però, sono contenti a metà: la sentenza riconosce, infatti, la responsabilità civile del magistrato per i soli danni materiali, non per quelli morali patiti dai tre figli piccoli della coppia. “Al Tribunale di Messina avevamo chiesto una interpretazione evolutiva e costituzionalmente orientata della norma pur recentemente riformata nel 2015 – hanno spiegato i legali – che formalmente riconosce il danno non patrimoniale soltanto per la privazione della libertà personale, che per il momento non abbiamo ottenuto. Vedremo cosa ne penseranno ora il giudice nazionale e la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo”.

Oltre il danno la beffa

I tre figli della coppia sono stati presi in carico e adottati dal cugino di Marianna, Carmelo Calì, già padre di tre figli suoi. È stato lui a decidere di “fare causa alla legge” quando, nel 2007, oltre al danno si è aggiunta la beffa: gli aiuti economici, infatti, gli sono stati dimezzati quando ha formalmente adottato i bambini di Marianna. A lui oggi è stato riconosciuto il ristoro economico per le tante difficoltà affrontate in questi anni in cui si è fatto carico dei tre ragazzini che sono andati ad allargare il già numeroso nucleo familiare.

Carmelo Calì, riporta il quotidiano messinese, non si è mai voluto rassegnare. “Com'è possibile che malgrado le denunce, malgrado i tanti testimoni delle minacce e delle violenze che subiva, nessun giudice ha fermato il marito? Addirittura un magistrato, nel corso della separazione, ha affidato i figli a lui, malgrado fosse tossicodipendente, malgrado poco prima si fosse allontanato con i bambini arbitrariamente e senza dare sue notizie - ha raccontato l'uomo - Mi hanno spesso detto di lasciar perdere perché la mia, anche se contro lo Stato, é di fatto un'azione contro dei magistrati. Ma davvero dobbiamo rassegnarci a ragionare così, anche di fronte a storie così drammatiche, anche di fronte a vite spezzate?".

Così, una volta ottenuta la tutela legale di tutti i bimbi, Calì ha fatto causa alla giustizia e nel 2014 la Corte di Cassazione gli ha dato il primo motivo per sperare quando ha stabilito che la domanda risarcitoria nei confronti dei due pm che si occuparono del caso

di Marianna, e che forse hanno sbagliato, era ammissibile e che la causa intentata nei loro confronti andava trattata. Si è arrivati così al processo davanti la Corte d’Appello di Messina e alla sentenza storica di oggi.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica