"Abbiamo il dovere di dare voce al dramma degli esuli"

Nel Giorno del ricordo l'intervento del sindaco di Trieste dall foiba di Basovizza

"Abbiamo il dovere di dare voce al dramma degli esuli"

Rappresentanti della Associazione degli esuli istriani, fiumani e dalmati; della Lega nazionale oggi qui presente con l’onorificenza della civica benemerenza del Comune di Trieste; della Federazione grigioverde e delle Associazioni combattentistiche e d’Arma, carissimi alpini, che ringrazio per essere sempre presenti.

Cari ragazzi delle scuole, so che molti di voi sono venuti anche da molto lontanto e mi fa veramente piacere vedervi qui presenti in tantissimi per il giorno del ricordo, autorità politiche, militari e religiose, gentili signore e signori.

Il 30 marzo 2004, dopo troppi anni di silenzio colpevole, il Parlamento italiano ha istituito il Giorno del ricordo, dedicato ai martiri delle foibe e alle vittime dell’esodo giuliano dalmata dal nostro confine orientale.

Da appena 14 anni, il Paese, la nostra patria, ha cominciato a prendere piena coscienza di quanto successo su queste terre tra il settembre del 1943 ed il febbraio del 1947 da parte dei partigiani comunisti di Tito. Una realtà che per oltre sessant’anni e’ stata volutamente dimenticata, nascosta, stravolta, misconosciuta. Un dramma figlio della ferocia dei titini jugoslavi, ma nel quale, per amor di verità, i comunisti italiani hanno svolto un ruolo non marginale.

Le bestie di Tito qui hanno tracciato una lunga scia di sangue gettando in questa foiba ed in altre voragini italiani della Venezia Giulia e della Dalmazia e altre vittime innocenti.

Le persone, prima di essere gettate in queste fosse “con il vertice sprofondato nelle viscere della terra” come le descrive monsignor Antonio Santin, vescovo di Trieste, venivano legate tra loro con il filo di ferro. La morte non arrivava subito, ma dopo lunghe agonie. Su queste terre si e’ consumato un eccidio di massa, I cui morti si contanto in metri cubi di cadaveri.

Nelle parole di Giuseppe Comand, 97 anni, insignito lo scorso 15 gennaio commendatore al merito della repubblica che da vigile del fuoco e’ stato l’ultimo testimone oculare del recupero dei corpi degli italiani infoibati, riviviamo quei drammi: “è impossibile cancellare il ricordo di quei giorni – dice Comand –. I corpi estratti venivano allineati ed i parenti, cercando di respirare in quel fetore, li riconoscevano; chi dai denti, chi da un vestito. L’odore dei cadaveri in putrefazione era così forte e insopportabile che veniva spesso dato il cambio a chi scendeva”.

Tra quei cadaveri c’era anche quello di Norma Cossetto, una giovane ragazza di 24 anni di Santa Domenica di Visinada che il 25 settembre del 1943 venne prelevata da un gruppo di partigiani comunisti titini per essere poi legata ad un tavolo e violentata da diciassette mostri prima di essere gettata nuda, con le braccia legate con il filo di ferro ed I seni pugnalati, in una foiba sopra un letto di altri cadaveri istriani.

Carissimi amici qui presenti e soprattutto cari ragazzi, il Giorno del ricordo non deve ritornare nell’oblio o diventare un’immagine sbiadita di quanto accaduto qui durante la Seconda guerra mondiale e nei 40 giorni di occupazione titina della città. La vostra presenza qui, mai così numerosa e partecipe, mi conforta che non ci sarà un nuovo oblio per queste vicende.

I racconti dei tesmoni, come quelli lasciati da Mafalda Codan, arrestata a Trieste nel 1945, ci aiutano a non dimenticare quanto l’uomo in nome di un’ideologia totalitaria è capace di fare e ad evitare che tutto ciò possa accadere di nuovo: “il 7 maggio del ‘45 – scrive nel suo diario Mafalda Codan – prendo un libro e vado in giardino. Appena uscita mi trovo davanti tre partigiani con il mitra spianato. Prima di tutto si rallegrano dell’orribile morte dei miei cari e poi mi intimano di seguirli. Con un filo di ferro mi legano le mani dietro la schiena e mi fanno salire su una macchina. A Santa Domenica mi portano davanti la casa di Norma Cossetto, chiamano sua madre, vogliono farla assistere alle mie torture per ricordarle il martirio di sua figlia”.

In quegli anni qualsiasi cosa fosse di ostacolo al nazionalismo comunista veniva spazzata via. I partigiani di Tito hanno anche le mani sporche del sangue dei circa 100 morti, di cui molti bambini, che hanno fatto saltare con il tritolo nella sanguinosa strage della spiaggia di Vergarolla. La propaganda anti religiosa di Tito non ha avuto pietà nemmeno di don Bonifacio, scomparso la notte dell’11 settembre del 1946, mentre il vescovo Santin venne aggredito a Capodistria nel ’47.

In quegli anni, Stati, governi, politici, con il proprio silenzio sono stati complici dei carnefici e di quei drammi che, unitamente ai trattati di pace e alla ridistribuzione dei confini, sono stati la causa principale dell’esodo di 350 mila italiani di Istria, Fiume e Dalmazia costretti ad abbandonare I propri beni, le proprie radici, I propri affetti per diventare esuli nel mondo.

Non ricordare quegli anni vorrebbe dire tradire ancora gli esuli fiumani, istriani e dalmati e altre vittime innocenti. Solo dal ricordo di questi drammatici eventi possiamo imparare e ritrovare la giustizia e l’amore per percorre le vie della pace indicate da monsignor Santin.

Nel mio precedente mandato alla guida della nostra importantissima città ho fortemente voluto ridare il giusto onore al monumento nazionale del Sacrario di Basovizza – simbolo dei drammi che hanno interessato il confine orientale durante la Seconda guerra mondiale – e il 10 febbraio del 2007 abbiamo inaugurato il Centro di documentazione a ricordo delle vittime delle truppe titine, che conta oltre 100 mila visitatori l’anno, anche grazie alla gestione dalla Lega nazionale a cui mercoledì scorso a nome della città ho consegnato l’onorificenza della civica benemerenza del Comune di Trieste “in segno di gratitudine per l’impegno profuso fin dalla sua fondazione, avvenuta nel 1891, per la conservazione dell’anima italiana di Trieste all’epoca dell’Impero asburgico, per il ricongiungimento di Trieste all’Italia nel secondo dopoguerra e per la rivendicazione del diritto di operare affinchè Trieste acquisisca definitivamente il ruolo di capitale morale di tutti gli italiani dell’Adriatico orientale”.

Noi tutti, insieme alle future generazioni, abbiamo il dovere ed il compito di custodire e dare sempre voce a questi drammatici fatti, affinchè il ricordo non torni piu’ nell’oscurità di un silenzio colpevole. Per primo a me stesso, a tutti voi ed al popolo italiano chiedo di ricordare sempre al mondo il valore di questi martiri, dei nostri esuli e di quanto successo nel confine orientale.

Ora non è piu’ concesso alla storia di smarrire l’altra metà della memoria.

Onore ai martiri delle foibe.

Viva l’Italia. Viva Trieste.

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