La folle teoria in difesa del corteo dei No Green Pass

Giusy Pace, la promotrice del corteo di finti deportati a Novara, ha spiegato la sua teoria in diretta televisiva. Ecco cosa ha detto

La folle teoria in difesa del corteo dei No Green Pass

Ha negato che la manifestazione di Novara si richiamasse alla Shoah. Ha negato di aver fatto un parallelismo con i campi di concentramento. Ha negato di essere alla ricerca di gloria e di visibilità. Ha anche negato, per certi versi, di essere una infermiera e di essere una sindacalista. Perché "io sono sono in trasmissione come presidente dell'associazione istanza diritti umani". Insomma, tutto si può dire meno che Giusy Pace non sia una negazionista tutta d'un pezzo. A suo modo coerente. Una coerenza a tratti delirante ma pur sempre coerenza. D'altronde per l'ideatrice della protesta che ha destato scalpore e indignazione "la colpa è stata del giornalista che con una libertà assoluta senza neanche confrontarsi con noi sul fatto se quello che stava scrivendo era davvero quello che stava succedendo ha fatto un errato parallelismo". Insomma, si è sbagliato il cronista della Stampa, si sono sbagliati tutti i mass media italiani, la comunità ebraica ha frainteso. Siamo tutti dentro una enorme fake news. La divisa a righe non era a righe ma a fiori. Sulla divisa a fiori non c'erano dei numeri ma dei suggerimenti per vincere al Superenalotto, le catene non erano vere ma aleatorie come quelle di Sant'Antonio che girano su Whatsapp. Non c'era alcun riferimento al nazismo e allo sterminio degli ebrei. Pazzesco. Che grande abbaglio.

"L'intenzione di quella manifestazione era partire dal green pass che è evidentemente una tessera del pane (...) "Prima ella Shoah, c'è stato l'Olocausto. Iniziò quando la gente smise di preoccuparsene, divenne insensibile, ubbidiente e cieca con la convinzione che tutto questo fosse normale (queste sono le parole di Primo Levi), iniziò con le persone private dei loro beni, dei propri cari, della loro dignità, con la schedatura degli intellettuali, con la deportazione...". Siamo all'apoteosi del paradosso: una persona che strumentalizza la Shoah che per negare di aver strumentalizzato la Shoah cita Primo Levi, uno che venne stipato in un treno merci con altri 650 ebrei, uno che visse nel campo di concentramento di Auschwitz, uno che fu costretto a indossare una divisa a righe, uno che aveva il numero 174517, uno che le catene, quelle vere, le ha sentite sulla propria pelle. Davvero. Nella follia del negazionismo televisivo di Giusy Pace trova spazio anche la teoria del cospirazionismo ("è la stampa che ha creato un'esondazione del fiume d'odio e sto valutando iniziative sulla libertà di stampa del giornalista che ha scritto della manifestazione") e dell'irrealismo ("anche la comunità ebraica è spaccata al suo interno, ci sono ebrei che mi chiamano per manifestare solidarietà"). Se voleva far parlare di sé ci è riuscita.

Se voleva che venissero prese in considerazione le istanze portate avanti dall'associazione ha fallito. Perché ci sono provocazioni che hanno un limite ben definito, un filo spinato che è indecoroso e ignobile provare a saltare. E perché la dignità delle tragedia della Storia merita rispetto.

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