Franca Valeri ammette: "Vidi Mussolini appeso, non mi fece pena"

L'attrice racconta il momento più brutto della sua vita: "Ricordo quando mio padre, ebreo, lesse sul giornale la notizia delle leggi razziali e pianse"

Franca Valeri ammette: "Vidi Mussolini appeso, non mi fece pena"

Una caduta che le è costata la rottura di otto costole e che ora l'ha costretta alla sedia a rotelle: a causa di quell'episodio di tre anni fa Franca Valeri non può alzarsi più. La lucidità non le manca, ma le parole devono essere "filtrate" una a una per essere del tutto comprese. Al collo porta sempre una piccola stella di David, un regalo portatole da Gerusalemme da parte di Stefania Bonfadelli (la sua figlia adottiva). Nel colloquio rilasciato al Corriere della Sera ha raccontato quello che ritiene sia stato il momento più brutto della sua vita: "Papà era ebreo. Ricordo quando lesse sul giornale la notizia delle leggi razziali e pianse". Lei preparò l'esame da casa, da privatista. Andò al Parini e provò a dare l'esame al Manzoni sperando che non se ne accorgessero: "Non se ne accorsero. L’Italia è sempre stata un po' inefficiente".

L'attrice ha fatto sapere di essersi recata personalmente a piazzale Loreto per guardare i cadaveri di Benito Mussolini e di Claretta Petacci appesi a testa in giù: "Mia mamma era disperata a sapermi in giro da sola. In quei giorni a Milano si sparava ancora per strada. Ma io volevo vedere se il Duce era davvero morto. E vuol sapere se ho provato pietà? No. Nessuna pietà". A suo giudizio adesso è comodo giudicare a distanza, visto che si tratta di sofferenze vissute in prima persona: "Bisogna averle vissute, le cose".

La giovinezza tardiva

La sua giovinezza fu tardiva: cominciò il 25 aprile. Ma ha sottolineato che in quell'epoca in Italia tutto sembrava realizzabile. Grazie allo studio del francese e dell'inglese "imposto" dal padre, andò a lavorare al comando americano come interprete: "Non vedevo l’ora che tornasse per dirgli che volevo fare l’attrice. Ovviamente, papà era contrario. Sperava che passassi la vita a dipingere".

Sì, perché il padre Luigi Norsa - ingegnere alla Breda - e il fratello Giulio fuggirono in Svizzera qualche giorno prima della guerra, con i gioielli di famiglia cuciti nel cappotto che avrebbero poi venduto per tentare di sopravvivere.

L'uomo era convinto che non ci fossero pericoli né per la ragazza né per la moglie, ma all'arrivo dei nazisti la Valeri fu costretta a nascondersi. E colse l'occasione per leggere La Recherche di Proust: "Senza la guerra forse non sarei mai riuscita a finirla".

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