Originario di Palermo, 38 anni, Giuseppe Lo Porto era stato rapito il 19 gennaio 2012 mentre rientrava a Multan, nel Punjab pakistano, insieme a un collega della Ong tedesca Welt Hunger Hilfe. Il cooperante italiano, arrivato da pochi giorni nel Paese, lavorava a un progetto umanitario a favore delle popolazioni alluvionate. Nel dicembre 2012 in un video era apparso per meno di un minuto il collega tedesco sequestrato con lui, Bernd Muehlenbeck.
«Siamo in difficoltà», aveva detto, chiedendo di accogliere le richieste dei mujaheddin. Parlava al plurale, una prova, seppure minima, che erano ancora due in vita. Poi era calato il silenzio.
Nell’ottobre del 2014, Muehlenbeck era stato liberato in una moschea alla periferia di Kabul. Al rientro in patria aveva raccontato che già da un anno i sequestratori avevano spostato Lo Porto. In quel periodo, il mondo del terzo settore e le Ong avevano rotto il silenzio con una lettera indirizzata all’allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e al premier, Matteo Renzi, esortando le autorità a mettere in campo tutti gli sforzi possibili per riportarlo a casa.
Il Pakistan è stata l’ultima tappa di un lungo impegno umanitario di Lo Porto, che già nel 2005 aveva operato in Pakistan come volontario per la Croce Rossa prima di laurearsi in psicologia a Londra. In precedenza aveva anche operato in scenari critici come quelli della Repubblica Centrafricana e Haiti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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