Giudizi condizionati dal colore

A leggere i rilievi della Commissione Europea alle politiche del nostro Paese sorge il dubbio, neppure tanto campato in aria, che pendano, per calcolo o interesse poco importa, a sinistra

Giudizi condizionati dal colore

A leggere i rilievi della Commissione Europea alle politiche del nostro Paese sorge il dubbio, neppure tanto campato in aria, che pendano, per calcolo o interesse poco importa, a sinistra. Il giudizio del governo dell'Unione sul Belpaese, non si sa perché, affronta tutti i temi di polemica politica con un approccio che è benevolo e comprensivo verso l'orientamento dei partiti che facevano parte della maggioranza giallorossa del governo Conte. Spinosa è invece la valutazione sugli argomenti sollevati dall'ala di centro-destra della maggioranza che sostiene Draghi.

Spara, ad esempio, sulle tesi di chi - leghisti, azzurri e la Meloni - punta a salvaguardare gli interessi dei nostri balneari nella legge sulla concorrenza. Interviene sulla riforma del catasto sposando la tesi di chi scommette che non ci saranno aumenti delle tasse, cioè il Pd. L'unica concessione a cui si lascia andare è quella di slegare il provvedimento dalle condizioni pregiudiziali per ricevere i finanziamenti del Recovery Fund. Condivide le congetture 5stelle sul «superbonus 110%» per gli interventi nell'edilizia. E, addirittura, spende una parola buona per il reddito di cittadinanza, giudicandone in positivo la funzione di sussidio contro la povertà e tralasciando del tutto l'aspetto fallimentare della misura sull'avviamento al lavoro.

Ovviamente, si tratta di posizioni legittime. La Commissione è libera di pensare come vuole. Quello che sorprende è la coerenza con cui sposa le tesi che guardano verso sinistra, o meglio verso il Pd ed il «campo largo» di Enrico Letta, ed è fredda verso quelle dell'altro schieramento. Un atteggiamento che trasuda, per un certo verso, di ideologia, di politically correct. E magari anche condizionato dalla presenza nell'organismo di un personaggio come Paolo Gentiloni, in una posizione di rilievo come Commissario all'Economia, che proviene da quel mondo.

Solo che, al di là delle intenzioni, questa coincidenza, definiamola così, rischia di produrre qualche problema. I due anni di pandemia, infatti, grazie allo spirito di solidarietà espresso dall'Unione in quei frangenti, hanno smorzato i toni dell'anti-europeismo e delle miscele sovraniste. Se si ritorna ad un atteggiamento ideologico, magari accompagnato da un ritorno agli egoismi nazionali (le ultime sortite di Parigi e Berlino non fanno sorridere) si rischia di rialzare vecchi steccati. Eppure ci sarebbero tutte le condizioni per fare un passo avanti, per andare verso una maggiore integrazione, per superare quel macigno che è il diritto di «veto». Solo che la trasformazione richiede una maggiore disponibilità e non il ritorno alle filosofie caricaturali dei «paesi frugali» e delle «cicale»: il rinvio dell'applicazione delle regole del Patto di Stabilità al 2024 per via della guerra è un segnale positivo ma non basta.

Ci vorrebbe, per dirla tutta, meno «ipocrisia», meno egoismi e, per tirare in ballo un altro argomento, una certa chiarezza: come può l'Europa candidarsi al ruolo di mediatore in un conflitto alle porte di casa se non è capace a mettere sul tavolo (vedi le ultime posizioni di Germania e Francia) l'unico argomento che potrebbe rassicurare l'Ucraina, cioè l'ingresso in tempi brevi nell'Unione Europea?

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