Mezzo Pd congiura contro Schlein

I riformisti in pressing su armi e guerra. Il ruolo di Renzi e Conte

Mezzo Pd congiura contro  Schlein

Divano e pop corn, ma non spegnete la luce. L'ultima stagione della rocambolesca avventura del Partito Democratico sta finalmente per arrivare in chiaro sugli schermi della politica. Il canovaccio è bene o male lo stesso, ma si recita a soggetto, un po' improvvisando un po' ricalcando scene già vissute. Il gioco è da fiera e luna park. C'è il segretario che si sente il legittimo candidato premier, appena ci saranno le grandi elezioni toccherà a lui, in caso di vittoria quasi certa (Dio, o chi per lui, lo vuole) prendere posto a Palazzo Chigi. Lo dicono i numeri, lo dicono le primarie, lo dice il popolo delle piazze e l'opinione di quelli che contano, influenzano. L'obiettivo invece è farlo saltare. Non importa sia lui o lei. Figurati se qualcuno nel Pd si fa questioni di genere. Il bello di queste puntate è però proprio questo: il segretario è donna. È spuntata per sbaglio e sfortuna dalle piazze ribalde di granchi e sardine, dai centri sociali del tempo perduto, benedetta nelle mansarde dei poeti e nelle strade arcobaleno. Non è che nel partito Elly Schlein non l'hanno vista arrivare. È che pensavano non fosse una cosa seria, passeggera come la pioggia di marzo. Non è successo e al di là dei suoi prolegomeni sulla società circolare la sventurata è ancora qua. La rimozione, insomma, non può essere pacifica e neppure indolore. Serve quella solita congiura che da queste parti si chiama «sereno» confronto democratico, con congresso o senza.

Il problema è che questa volta i problemi sono parecchi. La segretaria Schlein viene considerata dai suoi avversari inadeguata a governare. La frase più ricorrente è: ma metti che davvero si vince non si può piazzare lei nella stanza dei bottoni. Particolare. La sfiducia base non nasce dal fatto che lei ama una donna. No, decisamente no. Non è roba da Pd. Il problema è che lei è donna. Il fatto che poi abbia una visione politica da università occupata viene dopo. La sua posizione sull'Ucraina e sul riarmo dell'Europa sta imbarazzando i vertici dei partiti socialisti continentali. Così, perlomeno, si dice. La sudditanza psicologica nei confronti di Conte, democristiano post grillino, sgomenta la vecchia guardia che conosce le regole del potere per il potere. È per questo che le hanno proposto una soluzione in apparenza salomonica: tu sarai la nostra segretaria, la nostra bandiera e portavoce, ma come premier serve una voce più ecumenica, in grado di abbracciare gli interessi generali del partito. Sembra che Elly abbia risposto alzando il dito medio. I numeri e la popolarità sono dalla sua parte. I «congiurati» non hanno un anti Schlein, neppure Bonaccini, con lo stigma dello sconfitto. Gentiloni, con il suo passato da segretario, bravo premier e onesto commissario, non è abbastanza pop per scaldare piazze e congressi democratici. Per far fuori Elly serve un inciampo serio o un suicidio internazionale. Per ora l'ideona è logorarla in tutti i luoghi e in tutti i laghi.

Il voto di Strasburgo ha fatto cadere la maschera. Quei sì al riarmo non sono solo una questione di politica estera, è un messaggio lanciato nel torpore del partito. La stagione del «salta segretario» si è aperta ufficialmente, ora bisogna sperare nella provvidenza. Lorenzo Guerini è il volto pubblico di questa resistenza. Ex ministro della Difesa, presidente del Copasir, incarnazione della corrente «riformista». Con lui ci sono figure come Alessandro Alfieri, Piero Fassino, Lia Quartapelle. È la vecchia guardia che non si rassegna a diventare minoranza, che vede nella svolta a sinistra di Schlein un tradimento dell'anima governista del partito. C'è poi una rete più sottile, fatta di amministratori locali, di figure di secondo piano che però controllano pacchetti di tessere e consensi territoriali. I sindaci, in particolare, rappresentano un potere parallelo, da Giorgio Gori a Antonio Decaro e Matteo Ricci e allo stesso Bonaccini. Il gruppo di Base Riformista, che fu di Lotti e Guerini, non si è mai davvero sciolto. Si è solo mimetizzato, attendendo il momento giusto. E poi c'è Area Dem di Dario Franceschini, il grande tessitore che oggi appoggia Schlein ma che ha la pazienza di chi ha visto cadere molti segretari.

La stagione è appena iniziata e c'è tempo per godersi tutto. Il grande, e stupefacente, alleato di Elly Schlein non sta invece dentro il partito. È quello che fino a qualche tempo fa non si poteva neppure nominare, il Voldemort di Rignano sull'Arno. Matteo Renzi protegge da fuori il destino della segretaria legittima. È d'accordo con lei praticamente su tutto, qualsiasi suggestione politica la accoglie con un sorriso. Non si è scomposto neppure davanti al referendum sul jobs act: ma si, fai pure, è roba vecchia.

Perché Renzi sta con lei? Semplice, non sopporta visceralmente quegli altri. Li vuole vedere andare allo scontro, scornarsi senza speranza e figurativamente impiccati. È così che si crea quello spazio al centro dove lui aspetta, serafico, di accomodarsi.

Vittorio Macioce

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica