
Gentile Direttore Feltri,
so bene che lei è da sempre un sostenitore di Donald Trump, ma sono anche certo che non sarà d'accordo su quanto il presidente americano ha appena annunciato, cioè che è intenzionato a imporre dazi sui vini
e sullo Champagne all'Unione Europea, cosa che danneggerebbe soprattutto l'Italia che produce ed esporta prodotti vinicoli ovunque, e anche negli Usa.
Sarei curioso di conoscere la sua opinione al riguardo.
Vincenzo Rossi
Caro Vincenzo,
non intendo fare l'avvocato del diavolo, ma quella del presidente americano è stata sì una minaccia, però è stata fatta in risposta ai dazi che Bruxelles ha imposto sul whisky prodotto negli Stati Uniti. Trump, che non le manda a dire e reagisce immediatamente in difesa del suo Paese e del popolo che lo ha eletto, ha scritto sul suo social network, Truth, che «se la tariffa sul whisky non verrà rimossa immediatamente, gli Usa introdurranno a breve una tariffa del 200% su tutti i vini, Champagne e prodotti alcolici provenienti dai Paesi dell'Unione Europea».
Dunque si tratterebbe di una ritorsione, preannunziando la quale il tycoon mira a fare in modo che l'Europa rimuova i dazi sul whisky americano. E tale affermazione ha avuto effetti tempestivi, dato che la Commissione si è detta pronta a trattare e a negoziare. Di sicuro la minaccia di Trump non è stata indolore per il settore dei vini, che ha registrato un affondo dei suoi titoli in Borsa. Penso che convenga deporre le armi e conciliare, dal momento che in una economia globalizzata non possiamo che trarre tutti svantaggio da iniziative volte a lederci reciprocamente. Insomma, la guerra commerciale
ci renderebbe tutti vittime. Senza vincitori ma soltanto vinti. E prima lo comprendiamo meglio sarà.
Va da sé che, qualora i dazi annunciati da Trump sui vini venissero applicati, sarebbe soprattutto l'Italia a pagarne le ripercussioni, considerato che gli Usa sono il primo consumatore mondiale di vino con 33,3 milioni di ettolitri e che negli ultimi due decenni le vendite dei vini italiani negli Stati Uniti sono addirittura triplicate, con un incremento del 162 per cento, tanto da costituire circa un quarto delle esportazioni totali di vino imbottigliato sul nostro territorio. Il colpo alla nostra economia sarebbe tangibile e devastante. Tuttavia, grazie anche agli ottimi rapporti che intercorrono tra la nostra premier Giorgia Meloni e l'inquilino della Casa Bianca, io sono assolutamente sicuro che non dobbiamo temere un simile scenario. Meloni saprebbe accomodare tutto e Trump stesso è alquanto ragionevole, se lo si prende per il suo verso.
Tuttavia non posso esimermi dal compiere alcune riflessioni. È da lustri ormai che stiamo facendo la battaglia al vino. E a farla è la stessa Unione Europea, che lo ha quasi messo al bando, dichiarandolo
nocivo, pericoloso per la salute, causa di diversi disturbi. Una politica, a mio avviso, tesa a ledere soprattutto l'Italia, tanto che anche altri prodotti made in Italy e apprezzati da sempre in tutto il globo furono presi di mira dalle istituzioni europee, come certi formaggi e salumi.
Il vino non fa male, anzi, numerosi studi e ricerche confermano che consumarne uno o due bicchieri al giorno, ossia ai pasti, non fa altro che giovare alla salute del cuore. E, se quello italiano è, insieme a quello giapponese, il popolo più longevo al mondo, forse ciò che mangiamo e beviamo non è affatto letale, tutt'altro.
Quello che uccide è sempre l'eccesso, che diviene vizio, dunque malattia.Sia lodato il vino. E sia lodata la nostra enogastronomia tutta, i cui primi nemici non si trovano a Washington, bensì li teniamo in casa, come serpi in seno, ovvero a Bruxelles.
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