Giustizia e spioni, mine sul governo nato contro la Lega

Giustizia e spioni, mine sul governo nato contro la Lega

Il peccato originale del governo gialloverde era un «contratto» che metteva insieme il diavolo e l'acqua santa. Un mezzo aborto che aveva il destino segnato. Il peccato originale del governo giallorosso, invece, è che si tratta di un esecutivo di legittima difesa. Ma il risultato potrebbe rivelarsi speculare all'esperienza precedente. La manovra, ad esempio, segnata dall'ipoteca di sterilizzare le clausole di salvaguardia sull'Iva, è venuta fuori come una sorta di vestito di Arlecchino: tante pezze di colore diverso per accontentare, o far finta, questo o quel partito di maggioranza. Un risultato - ed è l'aspetto peggiore - che in fondo in fondo, al di là delle dichiarazioni di comodo, non ha sorpreso nessuno. «Non bisogna essere esigenti - osserva il pd Antonello Giacomelli - questo governo è solo la risposta a uno (Salvini, ndr) che con una sola mossa voleva metterlo in quel posto a tutti». «È una manovra onesta», si accontenta senza entusiasmi il capogruppo di Leu, Federico Fornaro. Mentre il ministro della Salute, Roberto Speranza, è il primo ad ammettere che l'attuale condizione può andare bene per l'oggi, ma non per il futuro. «Dobbiamo avere una visione per il domani - è la sua analisi - altrimenti rischiamo di avere gli stessi limiti dei nostri predecessori. E se non riusciamo a conquistare la fiducia degli italiani, l'avere dato vita a questo governo potrebbe rivelarsi un investimento sbagliato. Io, comunque, sono molto fiducioso, abbiamo almeno due anni e mezzo davanti».

La visione, la speranza: il Conte bis per sopravvivere deve decollare, ma se si libera in volo senza le ali rischia di precipitare come il Conte uno. E il tempo per verificare se il governo sa volare è limitato, anche perché, infrangendo la tradizione, l'esecutivo non gode di nessuna luna di miele presso l'opinione pubblica. Basta snocciolare i dati della maga Alessandra Ghisleri. Mentre la somma dei partiti che compongono la maggioranza arriva al 43%, tutti gli indici di gradimento del Conte bis sono sotto quella percentuale: quello del premier arriva al 38%, quello che riguarda la manovra appena varata il 30%, l'indice di gradimento dell'esecutivo il 28%. Insomma, a una parte degli elettori «giallorossi» questo esecutivo non piace. Motivo per cui il socio della maggioranza più attento agli umori dell'opinione pubblica, Matteo Renzi, scalpita. Dalla sua bocca da qualche giorno esce fuori una data di scadenza: «Sei mesi». L'epilogo, però, non è segnato, per cui potrebbe trattarsi di una verifica, di un rilancio, o di un altro governo. Tutto dipenderà se il Conte bis dimostrerà di avere le ali o no. I renziani, a differenza del capo, sono più espliciti. «O il governo - predice Luciano Nobili - si dà un profilo, o si cambia governo». «Conte - gli va dietro Michele Anzaldi - è un contenitore vuoto. Bisogna riempirlo di contenuti, altrimenti cambi il contenitore. Preciso: cambi il governo, non finisce la legislatura. In queste condizioni se vai al voto ti becchi un monocolore leghista».

Appunto, rischia il governo e non la legislatura. Anche perché, a parte i calcoli su chi perde e chi vince, ci sono almeno tre fattori che rendono quasi impossibili le elezioni: l'esigenza - per il Quirinale un dovere - di condurre in porto l'approvazione della norma che riduce il numero di deputati e senatori in presenza di un probabile referendum confermativo; l'atteggiamento riottoso di una parte del Parlamento ad andare alle urne, dato che con la nuova normativa un terzo degli attuali membri matematicamente non tornerebbe sul suo scranno (si passa da 945 parlamentari a 600); infine, la regola per cui se un parlamentare non svolge 4 anni e sei mesi di mandato non matura la pensione (nella storia della Repubblica solo un senatore vi ha rinunciato). Si tratta di una rete di protezione della legislatura, che, però, espone di più l'esecutivo: in queste condizioni, infatti, è più facile cambiare governo senza rischiare le urne. Da qui la preoccupazione, la diffidenza e il caos che regna nella maggioranza visto che ancora manca una visione unitaria. «Qui - si lamentava ieri il capogruppo del Pd, Graziano Delrio, con alcuni deputati - non sai con chi parlare. Mi sono accorto che i grillini sono divisi almeno in cinque correnti».

In questa situazione la scelta più semplice è stare fermi. Solo che con l'immobilismo non si marca nessuna discontinuità con il passato. E a volte si rasenta il ridicolo. Racconta l'azzurro Enrico Costa: «Durante il Conte 1 Bonafede venne in commissione e fece un discorso applaudito dai leghisti e criticato dai piddini. Ora con il Conte Bis Bonafede ha fatto lo stesso identico discorso, fischiato questa volta dai leghisti e applaudito dai pd». Inoltre il «surplace» non evita che alla fine i nodi vengano al pettine. Sulla legge d'iniziativa popolare delle Camere penali che introduce la separazione delle carriere tra giudici e Pm, i grillini hanno presentato un emendamento soppressivo, il Pd no, mentre i renziani sono addirittura tifosi della norma. La legge potrebbe anche passare, visto che diversi parlamentari di Zingaretti fanno parte dell'intergruppo per la separazione e delle carriere. Un'ipotesi che, però, fa tremare i polsi al primo dei consiglieri del segretario del Pd, Andrea Orlando: «Ma quale separazione delle carriere! Non se ne parla proprio. Ma vi pare che in questo momento possiamo cambiare la Costituzione?!».

Contraddizioni, differenze e la conseguente paralisi, mettono a repentaglio Giuseppe Conte. Il premier rischia di diventare il vero parafulmine su cui si scaricano le scosse elettriche dell'attuale fase politica. Basta pensare che nei giorni scorsi chi chiedeva a Salvini perché avesse accettato il duello con Renzi, riceveva questa risposta: «Per far rosicare Conte». Risposta analoga aveva la stessa domanda posta a Matteo R.: «Per dare fastidio a Conte». E ieri a Montecitorio, il premier, pur di non dare il suo parere su chi fosse stato il vincitore del duello televisivo, è scivolato via come un'anguilla: «Non l'ho visto. Anzi, questa sera voglio leggere i giornali per vedere che punteggio hanno dato». Snobismo per rimarcare che per lui un Matteo vale l'altro.

E, naturalmente, i due Matteo ricambiano l'antipatia. Tra Matteo S. che regala a Matteo R. la medaglietta della Madonna di Rue du Bac; e Matteo R. che invia un messaggio di pronta guarigione a Matteo S., colpito ieri da una colica intestinale, c'è, infatti, un tratto comune: l'insofferenza verso Conte. A cui si aggiunge, va da sé, un interesse comune: vedere come andrà a finire il «caso» del ministro della Giustizia americano, Barr, a cui il premier italiano ha dato accesso diretto - non era mai successo neppure ai tempi della Guerra fredda - ai responsabili dei nostri servizi segreti lo scorso Ferragosto.

Non per nulla Renzi ha aiutato il leghista Volpi nella sua corsa alla presidenza del Copasir a dispetto del veto di Conte (il leghista ha già convocato il premier in audizione martedì prossimo): «Senza di me non avreste avuto quel posto», ha rimarcato ieri al leader del Carroccio. Mentre Salvini da qualche giorno ha imparato a sfogliare le pagine del Washington Post, sperando che venga pubblicato il «report» di Barr a Trump sulla sua visita in Italia di mezza estate.

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