hi-tech e rischio auto-gol

Il software , dicono nella Silicon Valley, è il cervello di un'automobile, tutto il resto è «corpo» e, come tale, facilmente intercambiabile, una visione abbastanza inquietante, che trasforma l'automobile in un androide a quattro ruote. Da questo punto di vista a progettisti, ingegneri e designer resterebbe il compito di eseguire semplici interventi di chirurgia plastica. Cervello e corpo: e l'anima dell'automobile? Lungo la Baia di San Francisco, dove la Apple di Steve Jobs ha insegnato a tutti la tecnica di instillare nella gente bisogni che non sentivano assolutamente, l'anima ha un ruolo secondario, ciò che conta è la dipendenza dagli oggetti.

Un'automobile, insomma, conquisterà sempre di più i clienti per la sua capacità di connessione, per i servizi che può offrire grazie alla digitalizzazione, e non più per l'appeal del suo design, l'accelerazione fornita dal suo motore o l'efficienza nei consumi. Se per il momento non è seriamente preoccupata della Google car sotto il profilo commerciale, l'industria dell'auto sta cercando di prendere le contromisure, di essere preparata quando la maggior parte dei clienti sceglierà l'automobile secondo la filosofia dei cervelli californiani. Ma si tratta ormai di una rincorsa, e per recuperare, l'unica via è quella di far entrare in casa un potenziale nemico montando sulle vetture piattaforme capaci di integrare gli smartphone dei maggiori produttori dopo aver abbandonato l'idea di sviluppare sistemi autonomi, troppo legati ai tempi lunghi - da due a tre anni, un'eternità in confronto alla velocità in cui le tecnologie intelligenti si evolvono - richiesti per mettere in strada un nuovo modello.

L'adeguamento alle nuove tecnologie e al loro utilizzo a bordo dell'auto ha comunque prodotto effetti positivi per i clienti che possono contare oggi su assistenze al guidatore che in pochi anni sono diventate di serie anche su modelli di massa, una bella conquista in un settore dove ci sono auto che non montano ancora di serie l'Esp, il programma per la stabilità che dovrebbe essere obbligatorio.

Fino a pochi anni fa questi dispositivi venivano centellinati nel tempo, fatti pagare a caro prezzo e contribuivano a far eccellere un brand sugli altri. Inizialmente riservati alle ammiraglie, impiegavano anni per trovare spazio sui modelli di taglia inferiore, mentre oggi la febbre di democratizzazione della tecnologia ha contagiato anche i marchi premium , e le reti di sensori e telecamere sono quasi alla portata di tutti.

Per fortuna questa trasversalità della digitalizzazione, che rende le automobili più simili tra loro, fa sì che il lato emozionale, quell'anima fatta di cavalli, silhouette e suoni, giochi ancora un ruolo importante nella scelta di un modello. Le concessioni alla tecnologia sono tuttavia numerose, come nel design di plance e console, per esempio, dove tutto, ormai, ruota intorno al display attraverso il quale si controlla (con un tocco sullo schermo o attraverso un comando centrale) la maggior parte delle funzioni della vettura. Nel passaggio dall'auto intelligente alla self driving car , le case rischiano però l'autogol, perché accettare la sfida con Google e compagni significa giocare con le loro regole che fanno affidamento su smart city completamente digitalizzate che sono tuttora futuribili, non perché utopistiche, ma perché legate a problemi politici ed economici non facili da risolvere.

È giusto continuare a sviluppare le self driving car , ma è pericoloso inseguire Google, con i suoi droni a quattro ruote e con i driver, muniti dei suoi occhialini, che con un occhio consultano facebook e con l'altro i dati che scorrono su parabrezza attraverso i quali non si deve più guardare la strada, con un bicchierone di caffè in una mano e una ciambella nell'altra, a bordo di un'auto che sa già dove portarci quando usciamo dall'ufficio. Si può ancora chiamare automobile un veicolo come questo?

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