I diritti sospesi in un Paese senza reazione

Qualcosa è cambiato. Di profondo, radicale. Anzi, moltissimo è cambiato: se qualcuno ce lo avesse chiesto con una consultazione popolare, lo avremmo mandato al diavolo, ma nessuno ha chiesto.

I diritti sospesi in un Paese senza reazione

Qualcosa è cambiato. Di profondo, radicale. Anzi, moltissimo è cambiato: se qualcuno ce lo avesse chiesto con una consultazione popolare, lo avremmo mandato al diavolo, ma nessuno ha chiesto. Un anno di Covid ha toccato valori che sembravano indiscutibili, personali e costituzionali, religiosi e civili. Premetto che non intendo mettere in discussione la priorità della tutela della salute di tutti, tanto meno la sicurezza del Paese. Segnalo soltanto un catalogo di avvenimenti e di principi che sono stati stravolti dal cambiamento. Temporaneo? Vedremo, tutto è temporaneo, ma tutto rimane comunque nel nostro mondo.

A Natale le chiese erano semideserte, un combinato di divieti, paure, accondiscendenze che ha messo in evidenza un fenomeno che dura da un anno. Un decreto dopo l'altro, si è passati dalla proibizione al contingentamento, in aperta violazione del Concordato, che ha valore costituzionale, senza la minima protesta dei vertici ecclesiastici. Badate bene, non mi unisco al coro inutile e sciocco dei detrattori di Bergoglio e neppure a quello, più antico, di quanti accusano atei e comunisti di anticlericalismo. È stato il vertice della Cei ad avallare ogni misura restrittiva nei confronti di chiese, fedeli e parroci. Perfino la mancata equiparazione dei diritti degli insegnanti di religione a tutti gli altri. Per misure analoghe, la Chiesa francese ha fatto ricorso contro il numero di fedeli ammissibili alla messa e il Consiglio di Stato, organo evidentemente laico, le ha dato piena ragione, costringendo Macron e il governo a modificare le misure. La Cei muta.

In Italia, poi, abitata da un gran numero di anziani, ha fatto molta presa la paura e qui bisogna toccare un punto delicato: l'informazione. E non quella riferita da giornali e televisioni, che pure dovrebbero assumersi maggiori responsabilità, ma quella ufficiale scandita ogni giorno, in modo tanto vago quanto sistematico, da organi governativi. I numeri rimbalzano da un anno, sempre imprecisi, perché raccolti e forniti in modi e tempi differenti dalle strutture locali, spesso inefficienti o ritardatarie. Cambiano in continuazione gli indici di valutazione, lasciando molto spazio all'arbitrio, ma resta come una sentenza il conto terribile dei morti. In questo caso specifico, siamo passati da una prima fase in cui veniva minimizzato il totale, parlando di anziani e soggetti già malati (ricordate Borrelli che diceva: si muore con il Coronavirus, non di Coronavirus?), a una seconda fase in cui al contrario il totale dei morti, decisivo per la prosecuzione di ogni emergenza, è onnicomprensivo. Il totale di oltre 65mila scomparsi in più in un anno è certo, ma i motivi indistinti. Il risultato è un uso terroristico dei dati e la paura della gente, in particolare degli anziani. È giusto incutere paura, per ottenere prudenza? Almeno discutibile.

Intanto, oltre al diritto di culto, un caposaldo delle costituzioni democratiche, si è violato anche il diritto all'istruzione. La scuola, nell'ultimo anno, si è trasformata in un optional. Lascio agli esperti la descrizione della grande beffa delle lezioni a distanza, tra l'arretratezza delle nostre reti digitali, la scarsità degli strumenti e l'impreparazione degli insegnanti. Ricordo tutte le settimane passate a gingillarsi sui banchi a rotelle, totalmente inutili, in mancanza di una decisione di fondo: quanto è indispensabile ad un Paese l'istruzione in presenza? Ricordo ancora che, a tutti i livelli, non è tanto importante lo scambio delle nozioni, quanto la discussione e le riflessioni che ne scaturiscono. Elementare, per chiunque abbia studiato. In Italia il ministro Azzolina è stata lasciata sola ad affrontare un problema che non può essere risolto senza la forza di un intero governo e perfino una decisione univoca del Parlamento. I temi della libertà di culto e della scuola, diritti costituzionali, sarebbero classicamente materia di dibattito in Parlamento e l'emergenza richiederebbe un consenso significativo. Sono diventati solo oggetto di polemiche e non sappiamo come finirà il secondo anno scolastico di emergenza. Per inciso, con l'abolizione del servizio militare di leva, la scuola resta l'unico luogo dove si insegna e si apprende la cittadinanza. Inoltre, ammesso che la famiglia riesca a fare la sua parte, in stato di semidetenzione, è a scuola che si imparano gran parte dei rudimenti di gerarchia e disciplina.

Vogliamo aggiungere gli sconvolgimenti nel mondo del lavoro, tra chi l'ha già perso e chi lo pratica per conto suo, a casa, fuori da un contesto collettivo? Meno informazioni, meno contatti, meno diritti, più responsabilità. In questo caso, tutti dicono che finirà, che torneremo alla normalità, ma non ho visto progetti condivisi e nemmeno piani a lunga scadenza, se si eccettua una lunga, inutile e penosa discussione sull'opportunità di prendere (e spendere rapidamente) i fondi del Mes sanitario e un continuo balletto di ipotesi sull'uso del Recovery.

Possiamo sperare che andrà meglio? Che torneremo a lavorare, a studiare, a vivere, a pregare? A Natale, è necessario sperare.

Però, sono andato a sfogliare le prime pagine di un anno fa, quando era già noto il primo caso di virus a Wuhan e anche quelle di febbraio: in Italia parlavamo di possibile crisi di governo per la lite tra Conte e Renzi. Controllate pure, se non mi credete. In Italia, il tempo a volte si congela.

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