Milano. Un fiume in piena, a cavallo tra la disperazione e il desiderio di chiarire, spiegare, e persino - se mai fosse possibile - giustificare quel che non si può. Ovvero l'«odio» (così lo ha definito lui stesso ieri) che gli ha sconvolto la mente portandolo giovedì pomeriggio a uccidere a sangue freddo con tre colpi di pistola il suo diretto superiore, il 58enne maresciallo Doriano Furcieri, comandante della stazione dei carabinieri di Asso (una trentina di chilometro a nord est di Como, tra i due rami del lago) e a ferire a una gamba un altro collega del Gis di Livorno che ieri mattina, durante il blitz dei corpi speciali per liberare gli ostaggi trattenuti per 12 ore in caserma da Milia, aveva tentato di immobilizzarlo. Il militare non è in gravi condizioni.
Reduce dalla notte più buia e lunga della sua vita il brigadiere Antonio Milia, 57 anni, ieri pomeriggio, a partire dalle 14.30, nella caserma del comando provinciale dei carabinieri di Como, è stato interrogato dal pm lariano Michele Pecoraro accompagnato dai pm della Procura militare di Verona che indagano insieme sull'omicidio e il tentato omicidio. Una tragedia che ha rischiato un finale ancora più drammatico visto che giovedì, poco dopo aver sparato e ucciso il suo comandante, Milia aveva scritto un messaggio a tutti i suoi parenti per dir loro addio, lasciando intendere l'intenzione di togliersi la vita.
Prima dell'inizio dell'interrogatorio, si pensava che il brigadiere killer si avvalesse della facoltà di non rispondere, ma il 57enne, davanti ai rappresentati della giustizia militare e civile e al suo legale, l'avvocato Roberto Melchiorre, ha subito chiarito la sua intenzione di voler parlare e collaborare. A quel punto ha delineato una situazione insostenibile che durava da mesi e che con ogni probabilità, ha minato una mente (la sua) già provata da un fortissimo disagio. All'inizio dell'anno infatti Milia, vittima di una forma depressiva pesante, aveva minacciato di togliersi la vita con l'arma di ordinanza, ragion per cui era stato messo a riposo e allontanato per farsi curare. Dopo il ricovero in una struttura psichiatrica ospedaliera facente capo all'ospedale Sant'Anna di Como, da pochi giorni e con pieno appoggio di una commissione medica militare che lo aveva esaminato a Milano, era stato dichiarato idoneo a tornare in servizio «incondizionatamente», cioè senza limitazione di mansioni. Il brigadiere si era scontrato però con il comandante Furceri che si era opposto al suo reintegro, imponendogli di prendesi altri giorni di ferie dopo che Milia era rientrato al lavoro da appena qualche giorno, il 18 ottobre.
Da qui in avanti - cioè dal momento in cui si vede ancora una volta, dopo tanti mesi di assenza forzata a causa della malattia, tagliato fuori dal proprio lavoro - la follia s'impadronisce del brigadiere Milia. Che vede il maresciallo Furceri come un «nemico» che «sapeva che tra un anno sarei andato in pensione ma ugulamente non voleva riammettermi in servizio» ha ripetuto ieri davanti ai giudici Milia.
Giovedì, alle 17.30, uscito dal suo alloggio (vive con la famiglia in caserma, esattamente come la sua vittima) il brigadiere scende le scale e raggiunge l'ufficio di Furceri. Nessuno sa che cosa si siano detti veramente, ma ormai il brigadiere sapeva cosa voleva fare e non sarebbe mai tornato indietro. Così ha estratto la sua pistola d'ordinanza e gli ha sparato tre colpi a bruciapelo. Dopo aver gridato, come in una sorta di liberazione «l'ho ammazzato!», il brigadiere ha trascorso 12 ore appoggiato allo stipite della porta d'ingresso della caserma, in una mano il telefono cellulare, nell'altra la pistola. Dietro di lui, a pochi metri, a terra, era visibile il corpo del suo comandante. Asserragliatosi dentro, Milia ha impedito a tutti coloro che abitano in caserma con le loro famiglie di uscire, quindi, di fatto, li ha sequestrati. Chiunque ha tentato di avvicinarsi da quel momento si è trovato la sua arma puntata contro.
Poi il silenzio più totale, frammentato da qualche esclamazione isterica. Un negoziatore, proveniente dal reparto operativo di Varese, ha iniziato un serrato dialogo col brigadiere nel tentativo di convincerlo a deporre l'arma e arrendersi. Per ore il negoziatore, insieme ad altri colleghi dell'Arma, ha persistito nel tentativo di convincimento senza ottenere alcun risultato. Si è deciso tuttavia a continuare su questa strada per prendere l'uomo per sfinimento, anche se attorno alle 22 ad Asso da Livorno sono arrivati i Gis, le «teste di cuoio», i reparti speciali dell'Arma, pronti a intervenire.
La notte è trascorsa così, a parlare con i negoziatori, mentre una folla di persone comuni aveva raggiunto la caserma dopo che la voce di quello che stava succedendo si era ormai diffusa. Poco prima dell'alba, alle 5.40, i militari hanno messo in azione un blitz, impegnando i reparti speciali, per immobilizzare Milia e liberare gli ostaggi.
Di lui, delle sue reali condizioni psichiche, l'avvocato Melchiorre dice: «È distrutto. E abbiamo bisogno di capire tante cose. Si tratta di una situazione su cui non andranno fatti accertamenti solo sul piano giudiziario ma anche su quello clinico-sanitario»
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