"I malati di covid ricoverati negli ospedali? Un anno fa erano la metà. Ma adesso sono il 13%"

Il primario del San Raffaele: "Almeno 8 pazienti su 10 affetti da gravi patologie che non c'entrano nulla con il virus. Purtroppo si continua a morire di cancro e di malattie cardiovascolari e neurologiche".

"I malati di covid ricoverati negli ospedali? Un anno fa erano la metà. Ma adesso sono il 13%"

Professor Zangrillo, cosa sta accadendo nel suo ospedale?
«Si lavora con ordine, cercando di rispondere alle necessità dei pazienti con complicanze da Covid, ma ricordiamo che esistono tante altre patologie che non dobbiamo trascurare».

Ci faccia capire meglio.
«Il Pronto Soccorso del San Raffaele è molto gettonato e viaggia su una media di 120 accessi giornalieri; siamo passati da una media del 50% di pazienti Covid della prima ondata al 30% di ottobre, al 13% di febbraio-marzo 2021, quindi almeno 8 pazienti su 10 sono affetti da gravi patologie che nulla c'entrano con il virus».

Questi dati la preoccupano?
«Moltissimo, perché la realtà di chi lavora in ospedale e deve occuparsi di tutti è completamente diversa da quella narrata quotidianamente, ormai da più di un anno, sui media. Purtroppo si continua a morire di cancro, di malattie cardiovascolari e di malattie neurologiche».

Qual è allora il suo suggerimento? Se potesse decidere, avendo carta bianca, cosa farebbe?
«Ho sempre sostenuto che una società evoluta meriti messaggi chiari e responsabili. La profilassi vaccinale è la priorità, giocare tutta la partita in ospedale equivale a giocare una partita di calcio in 8 contro 11, il vostro medico di base è fondamentale».

C'è qualcosa che avremmo potuto fare meglio?
«Non dobbiamo mai dimenticare che l'Italia e la Lombardia in particolare hanno subito l'impatto diretto di un evento imprevedibile e sconosciuto, prima di ogni altro Paese del mondo occidentale. Da clinico medico sono convinto che la battaglia contro una malattia insidiosa abbia le sue armi migliori nello studio e nella conoscenza diretta della patologia; nel recente passato abbiamo pensato di vincere eseguendo quanti più tamponi possibile, mentre il più credibile campanello di allarme è il sintomo da riconoscere al volo».

E poi?
«E poi tante altre cose per correggere questa irresponsabile tendenza alla drammatizzazione: ho vaccinato personalmente nelle Rsa, ma la cosa che più mi ha colpito è stata incontrare a domicilio persone anziane che non vedono le scale di casa da più di un anno e sono convinte di morire non uscendo più dalla loro camera. La depressione e la mancanza di prospettiva uccidono più del virus

Cosa risponde alla polemica che mira a contrapporre il pubblico col privato?
«Nell'ultimo anno l'Irccs San Raffaele e la nostra Università hanno prodotto 495 pubblicazioni scientifiche di alto impatto, fornendo un sostanziale contributo alla conoscenza e all'applicazione di una buona clinica. Ad oggi, i pazienti Covid trattati dal Gruppo San Donato sono più di 12.000 e questa è la nostra risposta a coloro che si ostinano a considerare il sistema sanitario privato un'opportunità riservata a pochi che sottrae risorse agli ospedali pubblici».

In questi mesi cosa le è pesato di più?
«Ad inizio di novembre mi sono accorto che stavo alimentando polemiche inutili e spesso cattive, comunicando in modo non allineato. Allora decisi che era meglio abbandonare. Ciò mi è servito per riconquistare un po' di serenità con il mio gruppo di lavoro. Due cose oggi mi sono molto chiare: a voi giornalisti piacciono di più le brutte notizie e l'Italia è un Paese di santi, poeti e navigatori. Ma ora soprattutto di scienziati».

Le ultime notizie ci parlano di un lockdown generalizzato fino al 30 aprile. Lei e d'accordo o ci fornisce altrimenti il suo punto di vista?
«Nell'aprile 2020 dissi che dovevamo imparare a convivere con il virus. Oggi ne sono ancora più convinto perché i vaccini, le cure tempestive ed il senso di responsabilità ci devono portare a fare rivivere il Paese. Ce lo chiedono gli anziani abbandonati, i giovani angosciati, le famiglie distrutte dai debiti. Dobbiamo credere in una reale possibilità di risveglio di tutte le attività produttive e la comunicazione deve essere rispettosa della sensibilità delle persone più fragili: se le cose vanno meglio, va detto chiaramente e soprattutto il continuo richiamo al numero dei decessi è a parer mio, fuori luogo e sono certo, proprio perché vivo in ospedale, che verrà presto corretto».

Nei giorni scorsi è stato maliziosamente accostato a Salvini, come reagisce?
«Che io morirò medico lo sanno ormai anche i sassi, questo però non mi deve impedire di esprimere il mio punto di vista. Salvini ha fatto una proposta molto saggia e coraggiosa ed io mi sono sentito di condividerla. Qui è in gioco la sopravvivenza di tutti noi e ciò costituisce un valore ben superiore alle logiche di contrapposizione politica, per cui alla fine vincerà chi avrà avuto il coraggio di programmare sapendo valutare i rischi e i benefici. Ogni cura ha i suoi effetti collaterali ed in questo momento l'Italia, per guarire, necessita di una cura robusta e specifica».

Ottimista per il futuro?
«Crediamo in un futuro in cui ognuno di noi è chiamato ad essere protagonista, dando il proprio contributo, per la realizzazione di un sogno che deve

diventare presto realtà: la nostra salute. Ci riusciremo abbandonando i personalismi e vigilando su una progettualità di sistema sanitario completo, responsabile ed accessibile; lo dobbiamo soprattutto a chi non c'è più».

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