Dov'è Mario, si chiedono per tutto il giorno i leader dei partiti, perché fa il difficile, perché ci evita, perché non vuole parlare con noi? Lui infatti si nasconde, nessuno lo vede e nessuno lo sente. Alle sette eccolo al Quirinale: non ha il cappotto, solo un foglio in tasca. Sergio Mattarella lo accoglie nello studio alla Vetrata. «Complimenti e auguri», gli dice il capo dello Stato. «Grazie, credo che ne avrò davvero bisogno». Quando rispunta fuori, nel Salone delle Feste, è già l'ora di cena e i giochi sono fatti: Giuseppe Conte è un reperto di archeologia. Con i corazzieri di sfondo, Draghi sorride, legge l'elenco, dice «buonasera» e risparisce senza altri commenti. E il suo governo parte. Ventitré ministri, nessun segretario, sedici novità, solo sette riconferme, molti big politici utili per l'ancoraggio in Parlamento, ma il cuore dell'esecutivo, quello che conta nel progetto del green deal europeo, è fatto da tecnici. Enrico Giovannini, Vittorio Colao, Daniele Franco, Cristina Messa, anche Roberto Cingolani al super dicastero alla Transizione ecologica, questo è il pacchetto di mischia del professore. Ora si corre: oggi a mezzogiorno il giuramento, poi lo scambio di consegne con il premier uscente con la consegna della campanella, la prossima settimana il voto di fiducia alle Camere.
È il D-day, il giorno del Drago, crocevia di una rivoluzione soft ma profonda. In nove giorni si è rovesciato il Palazzo, Conte è un personaggio in cerca d'autore, il giustizialista Bonafede e la Azzolina «a rotelle» sono stati cancellati. Anche per Arcuri, commissario di tutto, forse non si mette bene, vista la svolta che il nuovo presidente del Consiglio vuole dare al piano vaccini e alla lotta al Covid, per non parlare dell'Ilva e della politica industriale. Nove giorni per imporre la sua linea, concedendo pochissimo. Doveva essere un gabinetto di minoranza con una prospettiva limitata e un programma ridotto a vaccini e Recovery, retto al massimo da benevole astensioni, è diventato un esecutivo di ferro, guidato da un uomo che ha l'appoggio di sette italiani su dieci, forte di una maggioranza mai vista. Adesso però Supermario ha fretta, vuole lasciare il segno. «I problemi non aspettano» e la luna di miele non durerà in eterno.
Dunque alla fine i partiti sono in squadra e sono il doppio dei tecnici, ma pesano la metà. E soprattutto sono rimasti ai margini nella gestazione dell'esecutivo. Li ha consultati due volte, li ha ascoltati, poi gli ha presentato a grandi linee il suo progetto, però niente particolari, il pacchetto è da accettare a busta chiusa. In questi giorni ha resistito a diverse forme di pressing, nascondendosi, lavorando da solo tra gli uffici da governatore onorario di Bankitalia, a Palazzo Koch, la foresteria del comando generale dei carabinieri in via Romania e la sua casa nella campagna umbra, dove è tornato regolarmente tutte le sere.
Dov'è Mario, si chiedevano stamattina presto alcuni segretari di partito, prima di lanciare l'ultimo assalto. Era a Città della Pieve e faceva colazione con figli e nipoti, prima di ripartire alle sette e mezzo per Roma. Un'altra giornata da subacqueo, una presenza forte e invisibile, i ritocchi alla lista prima di sciogliere la riserva. Con il Colle un contatto costante. Draghi ha reclutato i tecnici, le persone che ritiene adatte per provare a salvare il Paese, Mattarella si è occupato dei politici. Molto spazio nominale ai partiti, pochi portafogli pesanti. Via i ministri più discussi, come appunto la Azzolina e Bonafede, via pure Gualtieri perché serve un cambio di passo per l'economia. Il Quirinale invece ha spinto per la «continuità» nei settori chiave Esteri-Interno-Difesa, allargando l'ombrello anche sopra Roberto Speranza. In tempo di Covid meglio non cambiare.
Alla fine si dichiarano contenti tutti, pure i grillini che non hanno ottenuto la Transizione ecologica, pure
Salvini che ha dovuto accettare una delegazione leghista molto giorgettiana. E pure i fotografi nel cortile del Quirinale. «In bocca al lupo, presidente». Lui ha fermato la macchina e aperto lo sportello. «Crepi il lupo».
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