Debora, giovane mamma di 27 anni, voleva solo partorire il suo bambino. Ma, purtroppo per lei e per suo figlio, si è imbattuta in tre dottoresse che non le hanno praticato il parto cesareo per evitare di restare a lavoro oltre l'orario previsto.
L'episodio, avvenuto nell'ospedale "Santo Bambino" di Catania, risale al 2 luglio del 2015. Le indagini sono scattate dopo la denuncia dei familiari e, al momento, hanno portato alla sospensione di Amalia Daniela Palano, Gina Currao e Paola Cairone, che dovranno assentarsi dall'attività professionale dai quattro ai dodici mesi.
"Non so ancora se mio figlio un giorno potrà parlare e camminare, non so nemmeno se sente la mia voce... Ecco cosa hanno combinato quei medici, quelle dottoresse che avevano fretta di tornarsene a casa", commenta così la giovane mamma di Catania adesso decisa a rivendicare giustizia per un parto cesareo negato. "Per un cesareo da me chiesto e mai effettuato perché quelle signore in camice bianco mi lasciavano sbattere, nonostante i miei dolori, nonostante la sofferenza del piccolo".
È straziante il racconto di Debora al Corriere della Sera: "Mi terrorizza la diagnosi di tetraparesi spastica con indebolimento del tronco neuroencefalico. Dicono che bisogna aspettare ancora qualche anno per esser sicuri e noi speriamo il meglio, ma intanto passiamo da un medico all’altro, provando terapie, contatti con neuropsichiatri, impegnando tutto quel poco che abbiamo, che raccogliamo, cercando comunque di non fare mancare mai niente al bambino".
La giovane mamma ricorda poi i momenti in cui era in ospedale: "Venivo da una notte difficile. Alle 6.30 in ospedale, al Santo Bambino. Ospedale pubblico. Lo stesso dove ero stata seguita. Senza un mio ginecologo privato che non potevo permettermi. E, forse, pagando sarebbe cambiato tutto. Arrivai convinta di dovere partorire subito. Passavano le ore, ma non facevano niente. Ho chiesto il cesareo alle due dottoresse che si avvicendavano, Palano e Currao. Il travaglio non finiva mai. Era chiaro che stava precipitando il mondo".
Debora racconta la sensazione di sentir soffrire il suo bambino nella pancia e di averne avuto conferma quando è stato scoperto che il piccolo aveva il cordone ombelicale intorno al collo. A quel punto le dottoresse erano già andate via perché il loro turno era finito. Peccato si fossero scordate di dire a chi le sostituiva cosa stava succedendo.
"Dopo che le due dottoresse erano sparite, al cambio turno delle 13, ho avuto altre due ore di inferno. E alle 15.30 ho espulso il mio bimbo, mentre cercavano di liberarlo dal cordone. Il danno ormai c'era.
Io non capivo più niente, ma attraverso ricordi e racconti di chi era lì è emerso pure il panico di chi in sala parto s'era dimenticato di chiamare un neonatologo, arrivato dopo, nell’impossibilità di arginare i danni provocati dall’asfissia. Adesso aspettiamo giustizia. Anche perché non si ripeta per altri madre, per altri bimbi".
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