"Io, madre surrogata, dico no alla stepchild adoption"

In contemporanea con l'inzio del dibattito sulle unioni civili al Senato, in una conferenza stampa organizzata dal senatore Lucio Malan (FI) e da Pro Vita Onlus, Elisa Anne Gomez ha raccontato la sua esperienza da madre surrogata e ha messo in guardia: "riduce in schiavitù madri e bambini"

"Io, madre surrogata, dico no alla stepchild adoption"

“La vostra stepchild adoption renderà molte donne come me una realtà, la maternità surrogata porta via diritti, non da diritti”: è il commento della signora Elisa Anne Gomez, cittadina del Minnesota e madre surrogata la quale, mentre in Senato prendevano il via i lavori per l’esame delle pregiudiziali di costituzionalità sul ddl Cirinnà presentate dalle opposizioni, nella sala dei Caduti di Nassiriya a palazzo Madama ha raccontato, in una conferenza stampa organizzata dal senatore di Forza Italia, Lucio Malan, e da Pro Vita Onlus, la sua esperienza nel mondo della surrogacy.

Una storia toccante, che mostra gli aspetti più problematici di una pratica che è oggi realtà in molti Stati degli Usa e in moltissimi Paesi del terzo mondo. “I contratti di maternità surrogata non sono altro che contratti di schiavitù, non danno alle donne alcuna possibilità di comprendere la decisione che stanno prendendo”, spiega Elisa, “il legame madre-figlio è per natura così profondo che accettare una legge che interrompa quel legame prima della nascita è sbagliato ad ogni livello: i bambini non sono cose, sono soggetti di diritto”. “La maternità surrogata”, continua, “è un errore: il desiderio di una coppia di avere un bambino, non può superare i diritti della madre e del figlio”.

Elisa aveva due figli. Quando la maggiore a 26 anni, nel 2006 è entrata in depressione dopo l’abbandono da parte del padre, Elisa ha dovuto lasciare il lavoro per occuparsi della ragazza. In grave difficoltà economica, ha deciso di affittare il suo utero. Dopo vari incontri, per 8.000 dollari decide di fare da surrogata per una coppia omosessuale. I tre si accordano, tramite un contratto privato, poiché la “commercial surrogacy” non è regolamentata in Minnesota, perché Elisa possa vedere regolarmente, dopo il parto, la bambina. Ma già dal momento del travaglio, racconta, si accorge che le cose non sarebbero andate così. Dopo aver partorito, i genitori su commissione infatti la lasciano a casa sua, portano con loro la bambina, e non le permettono di vederla. Elisa, separata da sua figlia, inizia a soffrire di disturbo post traumatico da stress, “lo stesso di cui spesso soffrono i reduci di guerra”, dice per far capire la portata della sua situazione. Il dolore di non poter vedere sua figlia lo descrive come “forte”, “come un dolore, un bruciore nelle ossa, una ferita che trapassa tutte le mie fibre muscolari”.

Nel 2007 Elisa intraprende una battaglia legale per poter rivedere la sua bambina. Incontra giudici e assistenti sociali, come la stessa afferma “appartenenti alla comunità LGBT”, che la presentano come una persona orribile e la condannano a pagare il mantenimento mensile della bambina. Per questo, paradossalmente, Elisa è stata costretta a pagare alla coppia 22.000 dollari per il mantenimento della piccola, che oggi ha 9 anni. La minacciano addirittura di sbatterla in prigione se avesse parlato o scritto di quello che stava succedendo. Non solo non viene considerata dalla giustizia come la madre naturale della bambina ma, racconta, “sono stata trattata da cittadina di seconda classe”.

Elisa si commuove di tanto in tanto, e il suo racconto a tratti è struggente. Racconta che la coppia la minacciava, e spesso riceveva telefonate minatorie dai due quando erano ubriachi. “Ho dei rapporti della polizia, che dicono anche che a volte erano talmente ubriachi da non poter prendersi cura della bambina”, racconta. “I miei diritti sono stati totalmente ignorati”, conclude. “La sofferenza è stata enorme anche per la bambina”, aggiunge, “le telefonate che ricevevo dalla coppia nei giorni immediatamente successivi al parto sono state terribili: si lamentavano che la bambina piangeva in continuazione, la sentivo urlare in sottofondo, e mi dicevano che l’unico posto dove si addormentava tranquilla era il seggiolino della macchina”. “Quello era infatti il posto dove per l’ultima volta aveva visto la sua mamma, prima di andarsene per sempre”, dice infine Elisa.

“Quello che abbiamo ascoltato oggi è l’altro lato della vicenda”, ha aggiunto il senatore Malan a margine dell’iniziativa, “e con la stepchild adoption contenuta nel ddl Cirinnà, si darebbe ulteriore impulso al turismo riproduttivo e di conseguenza a casi come questo , non solo negli Usa, ma nei Paesi più poveri del mondo”.

“Anche se la maternità surrogata non è menzionata nel ddl”, ha aggiunto Toni Brandi, di Pro Vita Onlus, “la stepchild adoption prevista nel testo di fatto alimenta il mercato dell’utero in affitto: i senatori si devono dunque chiedere se vogliono con le unioni civili, dare impulso a

questo mercato, permettendo alle coppie omosessuali di poter adottare il figlio del partner, che sarà per la maggior parte frutto di maternità surrogata all’estero, perché non ci sono altri mezzi per loro per avere bambini”.

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