Tra le tante notizie uscite ieri dalla conferenza stampa di fine-inizio anno della premier, a mio avviso la più importante, è che Giorgia Meloni è rimasta Giorgia Meloni e non ha alcuna intenzione di cambiare né se stessa né la traiettoria del suo governare. In altre parole che un anno di potere, di comando e di pressioni di tutti tipi («qualcuno pensava di poter dare le carte») non hanno scalfito quella determinazione che poco più di un anno fa l'hanno portata a Palazzo Chigi.
È quel tirare dritto che sta facendo impazzire le opposizioni, le lobby e i commentatori da salotto ma che tanto piace ai mercati, alla comunità internazionale, e secondo i sondaggi anche agli italiani, che vedono in questo un importante fattore di stabilità. Sintesi della sintesi: abbiamo vinto le elezioni, quindi abbiamo il diritto di governare a modo nostro, con uomini nostri e chi sperava nel contrario se ne deve fare una ragione.
Non ha nascosto, Giorgia Meloni, le difficoltà quotidiane e di prospettiva, né gli scivoloni di una sua classe dirigente, da ultimo il deputato pistolero, che non sempre si è dimostrata all'altezza del compito e neppure ha negato le divergenze su alcuni temi con gli alleati. Ma, nonostante questo, la premier continua a guardare alla sostanza delle cose e al futuro con ottimismo. Lo fa con un realismo semplice e schietto che ha trovato il suo apice quando, sul finale dell'incontro, dopo tre ore e passa di domande, ha violato il protocollo solenne e, tra lo stupore di tutti, ha chiesto senza alcun imbarazzo o giri di parole una pausa «perché ho bisogno di andare in bagno». Chi si illude che questa signora possa andare a casa prima del previsto, chi conta su una spaccatura della maggioranza per imbastire ribaltoni penso debba rivedere i suoi piani. C'è una sola possibilità che ciò accada, e in parte è emerso anche ieri dalle sue parole: che se ne vada lei se dovesse prendere atto che cambiare questo Paese è impossibile.
Magari un giorno accadrà ma per usare una frase de «Il signore degli anelli» a lei cara, «verrà il giorno della sconfitta, ma non è questo il giorno». E, per come stanno messe le cose in campo, neanche il mese e neppure l'anno.
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