“Non eravamo né fascisti né comunisti, eravamo italiani ed eravamo lì per difendere gli interessi della nostra patria”. Luigi Tosti sta per spegnere cento candeline ma ha ancora l’entusiasmo dei suoi vent’anni. Lo stesso di quando si presentò volontario per arruolarsi nella Folgore. Il comandante della compagnia lo prese per un braccio, lo guardò dritto negli occhi e gli chiese: “Sei sicuro che vuoi fare il paracadutista?”. “E che sono venuto a fare altrimenti?”, rispose lui senza esitazione.
È la primavera del 1942. Luigi ancora non lo sa, ma presto il suo destino incrocerà la storia. Tempo qualche mese e sarebbe iniziata la prima battaglia di El Alamein. “Si era formato un nuovo battaglione, eravamo tutti orgogliosi di essere paracadutisti e ci siamo subito fatti avanti per la missione”, ci racconta il reduce. Lo incontriamo in provincia di Latina, dove è nato nel 1920 e vive con la moglie di 96 anni. Ci mostra il brevetto: “Ero il numero 18, sono stato uno dei primi in Italia a entrare nella divisione”.
È stupito quando gli spieghiamo che qualcuno oggi lo considera un “criminale”. Sono le voci di chi ha imbrattato la statua di Montanelli a Milano sull’onda delle proteste innescate dall’omicidio di George Floyd. Gli stessi che anche a Roma vorrebbero cambiare nome a via dell’Amba Aradam e si sfogano sulle statue degli intellettuali del periodo fascista e dei protagonisti della campagna d’Africa.
“Ma quale razzismo, non siamo mica andati in Africa a portare la schiavitù, anzi, facevamo del bene a quella gente, il governo italiano assegnava i poderi e costruiva le strade, tanti si sposavano e rimanevano a vivere lì, se uno ti assegna una proprietà è schiavitù? Per me è libertà”, spiega Tosti. “Noi sapevamo che l’Italia era entrata in guerra, andavamo a difendere la nostra patria, gli interessi italiani e il benessere della nostra gente, con tutto il rispetto per gli inglesi, ma noi non abbiamo mai depredato nessuno come invece hanno fatto loro”, va avanti il reduce. “Il nostro – riassume – era un colonialismo umano”.
Ripercorre quei giorni vissuti al fronte: “Di giorno restavamo nascosti mentre la notte uscivamo allo scoperto per sminare il terreno e preparare l’avanzata”. “Eravamo in una terra di nessuno: alle nostre spalle, distante un’ora circa in auto, c’era Tobruk in fiamme”. È l’ultima roccaforte inglese in Libia. “Man mano che avanzavamo trovavamo la popolazione ridotta alla fame, gli offrivamo le nostre razioni togliendocele di bocca, ecco chi erano gli italiani”.
L’avventura finisce dopo qualche settimana, quando la divisione italiana viene scoperta dalle truppe neozelandesi. Parte l’assalto. Tosti viene colpito ad una gamba. “Il dolore neppure lo sentivo tanta era l’adrenalina – va avanti – poi ho visto un fiume di sangue che stava uscendo”. Cosa ha pensato? “Giotto, come mi chiamavano a scuola, sei finito”. “E invece alla fine invece ce l’ho fatta ma non potevo più avanzare e così sono stato costretto a ritornare in Italia”. Poi si fa più cupo: “Assieme a me c’era un ragazzo, lui invece si toccava il ventre, non credo ce l’abbia fatta”.
“La guerra è brutta, ma la rifarei se si trattasse, come allora, di difendere il mio Paese”, commenta. “Quando ero ricoverato al Celio sentivo che la Folgore avanzava e non vedevo l’ora di tornare”, prosegue Luigi. Alla fine però viene dirottato in Sardegna, a presidiare l’aeroporto di Alghero. Nel frattempo l’Italia firma l’armistizio e lui decide di schierarsi al fianco degli angloamericani.
“Non ero un fascista, ma rivendico tutto quello che ho fatto, in Africa abbiamo difeso la nostra gente, combattendo spalla a spalla con i neri”, rivendica. “Combattere non è facile, ma io per la mia Italia metterei ancora a disposizione la vita”, assicura. Poi torna all’inizio del discorso: “Criminale? Criminali sono quelli che imbrattano le statue e vogliono cancellare la storia, mi fanno pena, non sanno di cosa parlano e soprattutto non hanno rispetto per chi ha dato tutto per difendere gli interessi del proprio popolo”. “Sono rimasto zoppo – continua – e lo Stato mi passa 126 euro al mese come indennità”.
A chi accusa gli italiani di aver depredato l’Africa ribatte: “Perché non parlano delle foibe o dei crimini commessi dai marocchini in Ciociaria”. Dopo l’8 settembre Tosti ha combattuto anche lì, a Cassino, con il battaglione Nembo. “Facevano carne di porco, uccidevano, torturavano e stupravano, anche i bambini, i generali gli avevano dato il via libera perché la Francia si sentiva tradita”, accusa. “C’era una casa di persone perbene, che spesso offrivano da mangiare ai tedeschi, un bel giorno – ricorda – li avevano trucidati tutti”.
La guerra Luigi la sogna ancora la notte. “È stata una guerra sbagliata, in Sardegna – ci rivela – un comandante un giorno mi confessò che Mussolini non voleva un conflitto e che l’ha fatto solo per salvare l’Italia dalla prospettiva di un’occupazione nazista”. Luigi ricorda volti, sguardi, uniformi: “Una volta eravamo sotto attacco di una mitragliatrice tedesca, toccava a me fermarla, mi sono preparato a sparare, poi nel mirino vidi un ragazzino, non ebbi il coraggio di premere il grilletto”.
“Nel nostro passato ci sono delle ferite ancora aperte, il problema non si risolve di certo imbrattando le statue”, interviene Ludovico Bersani, presidente della sezione di Latina dell’Associazione Nazionale Paracadutisti d’Italia. “Mio padre – aggiunge – ha fatto la leva in Libia, non mi ha mai parlato di razzismo, di schiavismo o di qualunque altra cosa che potesse umiliare un altro essere umano”.
“Tra l’altro – osserva – il primo gruppo di fanti dell’aria, era composto proprio da libici”. “Tra i nostri popoli c’era amicizia e ancora oggi in quelle terre c’è amore per gli italiani”, assicura il parà.
“Ai giovanotti che si divertono a vandalizzare i monumenti – conclude – dico di studiare la storia, perché non parlano delle marocchinate, delle foibe o degli eccidi consumati sulla pelle dei civili a guerra conclusa?”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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