“Il momento è delicato”. Pesa bene le parole Luigi Caricato, scrittore e giornalista, uno dei più importanti esperti di olio d’oliva in Italia. Reduce dal successo di Olio Officina Food Festival, rassegna sul tema con 4 giorni di incontri, dibattiti e degustazioni, non nasconde il momento delicato dell’olio giallo, scosso dall’ultima bufera dell’“invasione” tunisina.
L'Italia ha bisogno di importare olio dalla Tunisia? Perché? Di quali cifre parliamo in termini di produzione/ fabbisogno nazionale/ importazione dall'estero?
L’Italia è in carenza d’olio da sempre, sin dai tempi degli antichi romani. Ne consumiamo molto, ne produciamo poco, e negli ultimi vent’anni sempre meno. E’ inevitabile che si debba ricorrere a produzioni esterne al nostro Paese. I conbti non tornano. Abbiamo necessità di un milione di tonnellate, ne esportiamo 400 mila, ne consumiamo 600 mila. Tali dati sono ovviamente variabili, di anno in anno, ma sostanzialmente si possono così sintetizzare. Sa quanto ne produciamo? Appena 300, o al più 350 mila tonnellate. C’è qualcosa che non va nel nostro sistema. Un Paese normale pianterebbe nuovi olivi, noi preferiamo lamentarci delle importazioni dall’estero. E’ tutto così illogico.
L'allarme di alcuni produttori, pugliesi abruzzesi e calabresi, è giustificato?
Tutti gli allarmi che si registrano in Italia non debbono essere presi in alcun modo in considerazione. Sono sempre falsi allarmi. Ci si lamenta in continuazione solo perché si è abituati a una agricoltura assistita. Lamentarsi è un mestiere. Serve per ottenere aiuti. I più furbi ci sguazzano, e fanno affari d’oro; tutti gli altri cercano di sopravvivere con le briciole restanti. Si tira a campare, ma è finito il tempo in cui si assegnavano finanziamenti a fondo perduto. Occorre cambiare rotta e dimostrare con i fatti di avere il coraggio di investire di tasca propria e assumersi il rischio di impresa. Ci sono molte aziende che agiscono in proprio, con grande fatica, ma i più sonnecchiano.
Importazione a dazio zero cosa significa per il consumatore e per la filiera produttiva italiana?
Il dazio zero assegnato per le quote di olio proveniente dalla Tunisia è senza dubbio un vantaggio per le aziende importatrici, ma anche, indirettamente, un vantaggio per il consumatore che può trovare oli a prezzi inferiori. Un po’ meno vantaggioso lo è per la Spagna, che il nostro principale paese fornitore. I produttori italiani invece non ci rimettono, possono stare tranquilli. Anche perché l’Italia comunque deve acquistare olio dall’estero per colmare le proprie lacune produttive.
Il made in Italy ha nell'agroalimentare un suo pilastro. Queste operazioni non lo mettono a repentaglio?
Il made in Italy è soltanto uno slogan. Siamo fortemente deficitari di molti alimenti. Noi abbiamo progressivamente abbandonato la nostra agricoltura, depredandola di risorse ed energie lavorative. Nei nostri campi ormai lavorano gli stranieri, nei ristoranti il personale è soprattutto straniero. Cos’è oggi il made in Italy? Viviamo delle glorie del passato, finché dura la buona reputazione. Nessuna operazione può mettere a repentaglio le sorti del paese. Ci pensiamo da noi ad affossare il nostro comparto agricolo. Basti pensare alla comunicazione negativa di cui siamo artefici, non facciamo che parlare di frodi e sofisticazioni, non facciamo altro che denigrarci. Stiamo lentamente, progressivamente, autodistrugggendoci. Resistono solo le persone di buona volontà, finché hanno energie per andare avanti.
L'olio tunisino o marocchino è buono di sapore e di qualità? Tutti gli oli da olive sono buoni, o perfino di gran pregio. Tutti i territori sono capaci di consegnare eccellenze. Il genius loci vale per tutti i Paesi. Pensare il contrario equivale a mentire a se stessi. Noi abbiamo la fortuna di avere una straordinaria biuodiversità, dovuta a diversi fattori, ma stiamo facendo il possibile per azzerare le nostre peculiarità: per negligenza. Per salvare l’olivicoltura e l’arte olearia italiana occorre solo depoliticizzare e desindacalizzare il comparto oleario. Il declino è iniziato a partire dalle organizzazioni agricole. Chi lavora deve essere lasciato in pace, invece si cerca di succhiargli l’anima. Il nemico non è esterno all’Italia, ma è dentro il nostro Paese, a cominciare dalle istituzioni.
Non abbiamo uno straccio di ministro dell’agricoltura che si possa dignitosamente definire tale. L’ultimo ministro che era un vero ministro e non un passacarte delle lobby agricole è stato Giovanni Marcora: dopo di lui il declino.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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