Una carriera spesa nell’Ansaldo, cominciata quando in Italia si mettevano le bombe. Roberto Adinolfi, 59 anni sposato, padre di tre figli, in quei giorni era un giovane neolaureato. In università si faceva a botte, la droite e la gauche , volavano spranghe, molotov e coltelli. Si moriva anche. In nome della lotta allo Stato i terroristi sparavano a politici, magistrati, giornalisti, manager e sindacalisti. Senza troppe distinzioni. Gambizzavano Indro Montanelli mentre camminava di buon’ora verso il Giornale in piazza Cavour a Milano; ammazzavano Vittorio Bachelet giuslavorista e professore universitario, davanti all’allora sua assistente Rosy Bindi, nell’atrio della facoltà di Scienze politiche de La Sapienza.
Erano gli Anni di piombo, quelli delle Br affiancate da una galassia di rivoluzionari armati e gruppi anarcoidi da una parte; quelli dell’eversione di destra, i Nar, Terza posizione, Ordine nero, delle stragi rimaste nel buio, dall’altra.
Adinolfi ottenne il «tocco» in Ingegneria nucleare al Politecnico di Milano quando aveva 24 anni. Correva l’anno ’76 del secolo scorso. A quell’epoca era meno impossibile trovare lavoro. Lui iniziò praticamente subito, rapido e preciso come i suoi studi, entrando nell’Ansaldo (punta di diamante nella storia nostrana dell’industria bellica) confluita nel 1950 nel gruppo Finmeccanica. Oggi Ansaldo è una «corporate» con circa 20mila addetti, dei quali 5mila all’estero. Non si producono più cannoni, navi e aerei da guerra ma energia, veicoli, sistemi di trasporto, segnalazione, automazione su drive. In altre parole, Ansaldo, attualmente, è il più potente gruppo italiano ad alta tecnologia in ambito Finmeccanica.
Negli anni del brigatismo, il ramo genovese del colosso industriale fu l’obbiettivo preferito delle «cellule» locali. O meglio, lo furono i suoi uomini. Era l’ottobre 1975 quando Vincenzo Casabona - capo del personale di Ansaldo meccanica - venne sequestrato davanti al figlio per essere rilasciato incolume poche ore dopo. Un avvertimento firmato con la «stella a cinque punte». Sergio Prandi, vicecaporeparto del Nucleare, il 10 luglio 1977, invece, venne gambizzato sotto casa. Primo sangue e altra azione rivendicata da quelli delle P38. Otto colpi ridussero in gravi condizioni Carlo Castellano, direttore pianificazione dell’Ansaldo. Era il 17 novembre 1977. Due anni più tardi sarà la volta dell’ingegner Giuseppe Bonzani, direttore di stabilimento. Lui, ridotto in fin di vita «nell’ambito - scriveranno gli ideologi rossi - della campagna contro il mondo industriale». Trentacinque anni dopo la storia si ripete. E la scelta di colpire Adinolfi, certo casuale non pare. Come se l’eversione del Terzo millennio avesse intenzione di riannodare un filo spezzato da fallimenti ideologici e programmatici.
Qual «migliore» ripartenza? Adinolfi si è sempre occupato di energia nucleare, lavorando alla progettazione di impianti italiani ( Montalto, Trino Vercellese per esempio) e stranieri come Superphenix Romania realizzato da Ansaldo. E da Bucarest ha ricevuto anche una laurea honoris causa. Ha guidato da direttore tecnico, il consorzio Ansaldo-Fiat creato per la progettazione di nuovi reattori.
Nel 2000, dopo una parentesi di 4 anni come responsabile delle attività sull’energia convenzionale per l'Italia, è tornato agli«atomi»in qualità di direttore responsabile della divisione nucleare di Ansaldo Energia, per passare nel novembre 2005 ai vertice della neonata Ansaldo Nucleare. Dal aprile 2007 è amministratore delegato della società e membro della Commissione Unicen per la normativa nucleare oltreché presidente della Società nucleare Italiana. Insomma, un’icona perfetta da sfregiare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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