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L'ipotesi bis per salvare i fondi Ue

Sergio Mattarella non solo è personalmente restio all'ipotesi di un bis, come ha ripetuto ancora una volta ieri. Ma è finanche convinto che intraprendere una simile strada sarebbe "un errore"

L'ipotesi bis per salvare i fondi Ue

Sergio Mattarella non solo è personalmente restio all'ipotesi di un bis, come ha ripetuto ancora una volta ieri. Ma è finanche convinto che intraprendere una simile strada sarebbe «un errore». Persino sotto il profilo del dettato costituzionale, come ha lasciato chiaramente intendere il 2 febbraio scorso, quando nel ricordare i 130 anni dalla nascita di Antonio Segni ha citato uno dei suoi messaggi alle Camere in cui l'allora capo dello Stato sosteneva l'opportunità di introdurre in Costituzione la non rieleggibilità del presidente della Repubblica. Nonostante questo, sul Colle il tema è oggetto di confronti e ragionamenti da settimane. Soprattutto dopo le ripetute rassicurazioni chieste al Quirinale non solo da Bruxelles ma anche da alcune cancellerie europee, preoccupate dall'ipotesi che possa davvero essere Mario Draghi a succedere a Mattarella. Uno scenario che da mesi rilancia a cadenza regolare Matteo Salvini. L'ex presidente della Bce, però, in Europa è considerato il garante della linea di credito che ci è stata aperta con il Recovery fund, una pioggia di miliardi che in buona parte dovranno essere impegnati dall'Italia entro il 31 dicembre 2022. Draghi a Palazzo Chigi, insomma, è per Bruxelles una sorta di assicurazione sul fatto che le risorse del Next generation Eu non faranno la fine dei Fondi strutturali d'investimento europei, dato che l'ultima relazione della Corte dei Conti Ue (novembre 2020) ha visto l'Italia penultima nella classifica dei Paesi che hanno effettivamente usato le risorse a disposizione.

Se, dunque, Draghi arrivasse a fine legislatura (marzo 2023), la larga e inedita maggioranza che lo sostiene dovrebbe (febbraio 2022) trovare un'intesa sul nuovo capo dello Stato. Un passaggio per nulla facile, soprattutto considerando quanto eterogenei e conflittuali siano i partiti che - tenuti insieme dall'emergenza - oggi sostengono l'attuale esecutivo. Insomma, trovare la quadra su un nome condiviso potrebbe diventare un'impresa. Soprattutto senza scontentare nessuno, rischiando di far saltare comunque il banco del governo e favorire la via alle elezioni anticipate. Ecco perché, sottotraccia, molti partiti vedono di buon grado un bis di Mattarella. La soluzione meno invasiva e destabilizzante. Una garanzia per Draghi, per l'Europa e per le risorse del Recovery fund. È questa la carta che, al momento giusto, tireranno probabilmente fuori Pd e M5s. Non contemplando quello che nella loro ottica dovrebbe essere considerato un rischio. Un secondo mandato di Mattarella, infatti, potrebbe (per certi versi, forse, dovrebbe) concludersi dopo le elezioni del marzo 2023. E con il nuovo Parlamento - non solo frutto di diversi equilibri politici, ma anche della riforma del taglio dei parlamentari - se si tornasse a votare per il Colle il centrodestra rischierebbe per la prima volta nella storia Repubblicana di eleggere un «suo» presidente. Ma non solo Pd e M5s, perché anche Fdi potrebbe non opporsi al bis. Il prossimo anno, infatti, la rincorsa di Giorgia Meloni su Salvini potrebbe non essere completata, nel 2023 il sorpasso sarebbe invece ben più probabile. Non è un caso che il leader della Lega spinga con forza per Draghi che, se lasciasse Palazzo Chigi, favorirebbe la via delle urne.

Ma i mesi a venire sono ancora lunghi. E si ragiona anche a soluzioni diverse. In campo, infatti, ci sono pure Paolo Gentiloni, attuale commissario Ue agli Affari economici, e David Sassoli, presidente del Parlamento Ue. Profili non troppo divisivi - come potrebbero essere, per ragioni diverse, Dario Franceschini o Pier Ferdinando Casini - e che avrebbero il pregio di ancorare l'Italia a un profilo europeo. Una strada che il centrodestra potrebbe non osteggiare, magari in cambio di garanzie a Bruxelles nel caso di vittoria elettorale nel 2023.

Resta, sullo sfondo, l'ipotesi Marta Cartabia, attuale ministro della Giustizia. Che, però, sarebbe in discesa nelle ultime settimane. E non solo per l'ostracismo del M5s, ma anche per qualche tensione con Palazzo Chigi (e non solo) sulla parte del Recovery plan di sua competenza.

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