Ci chiediamo: in Italia l'esecutivo e il Parlamento sono legittimati a riformare la giustizia? Sulla carta sì, anche perché uno dei poteri principali di un parlamento sta nel promuovere, oltre alle leggi, anche il modo in cui esse vengono applicate. Se un governo e un parlamento non avessero il diritto di intervenire sulla magistratura, o dovessero farlo esclusivamente sotto dettatura, non saremmo più in una democrazia liberale: ma in una magistratocrazia. Eppure pensiamo all'opposizione che le associazioni dei magistrati hanno esercitato di recente nei confronti della riforma Cartabia, che era acqua di rose purissima, per di più di un governo di larghe intese, di cui nessuno poteva pensare volesse imbavagliare i giudici. Era ovvio che, di fronte al disegno di riforma Nordio, di ben altra caratura, si sarebbe scatenato lo scontro: soprattutto perché il Guardasigilli vorrebbe attuare la separazione delle carriere, la madre di tutte le battaglie.
Quando perciò il segretario generale dell'Anm assicura che i magistrati non intendono fungere da opposizione, oppure il suo presidente aggiunge che non vogliono diventare un «partito politico», essi affermano un concetto ovvio che, nel momento in cui lo smentiscono, sembrano però sottilmente affermarlo, excusatio non petita. Anche perché, sempre il segretario dell'Anm, accusa il governo di minare la fiducia nella magistratura: che, a prendere sul serio le parole, vuol dire che una parte dello Stato (l'esecutivo) volutamente ne aggredirebbe un'altra sua parte (la Magistratura). Tutte affermazioni che, negli altri Paesi democratici liberali, sarebbero inconcepibili. Ma sono anche segno di una certa debolezza «politica» della magistratura degli ultimi anni. Non stiamo solo segnalando la fortuita sparizione delle folle dei «Di Pietro facci sognare».
La stessa magistratura è ormai molto frastagliata e divisa al proprio interno, non solo e non tanto per linee politiche (correnti «moderate», «progressiste» e via dicendo). Prova ne è che le inchieste nei confronti degli esponenti politici o amministratori locali finiscono spesso per ribaltare l'accusa o il primo grado di giudizio: come avvenuto con l'ex sindaco di Lodi, Simone Uggetti, o, proprio ieri, con il governatore Attilio Fontana.
Quindi a fronte di magistrati ancora tentati dalla supplenza politica, ve ne sono molti altri che invece sembrano pensarla diversamente.
Ma se la magistratura non è un corpo compatto, è proprio questo il momento di tentare una riforma che sia incisiva e, per usare un termine abusato, «storica». E farlo in tempi non troppo dilatati: la finestra potrebbe presto richiudersi.
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