L'Oscar della faziosità. Scalfaro agì contro Berlusconi

In un'intervista al Corriere l'ex capo Cei Ruini rievoca il complotto dell'allora presidente

L'Oscar della faziosità. Scalfaro agì contro Berlusconi
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La Storia corre più veloce del previsto (quasi come la vecchiaia) e trent'anni dopo sta facendo parziale giustizia del famigerato triennio 1992-1994, passaggio che doveva cambiare in meglio la Storia del Paese e che invece pesa come un moloch sulle coscienze di magistrati, politici, giornalisti e cosiddetta società civile: nonché imbarazzanti ex capi di Stato.

Ora sappiamo per certo che Scalfaro Oscar Luigi, forse il peggior Capo dello Stato che abbiamo mai avuto (il «forse» è di cortesia) fu colui che chiese aiuto alla Cei, la conferenza dei vescovi, per far fuori Silvio Berlusconi da presidente del Consiglio. Si parla dell'estate 1994 quando la Cei era capeggiata dal Cardinale Camillo Ruini, oggi 91enne, intervistato sul Corriere di ieri da Francesco Verderami. Il titolo, a scanso di equivoci, era «Quel pranzo al Quirinale in cui Scalfaro mi chiese un aiuto per far cadere Berlusconi», e il sottotitolo era «Alla domanda del capo dello Stato restammo in silenzio. Non consideravamo il leader di Forza Italia un pericolo». Già in un libro sui presidenti della Repubblica, «Il Colle d'Italia», si raccontava di un pranzo al Quirinale in cui l'allora capo dello Stato invitò il cardinale Angelo Sodano e monsignor Jean-Louis Tauran per chieder loro di «aiutarlo a far cadere il governo Berlusconi», e che la risposta porporale si tradusse in un «silenzio imbarazzato».

Ora, a Verderami, il Cardinale Ruini conferma una volta per tutte: «Effettivamente andò così. La nostra decisione di opporci a quella che ci appariva come una manovra fu unanime. E pensare che Scalfaro era stato per me un grande amico Per questo rimasi colpito dal modo in cui aveva cambiato posizione, così nettamente Penso che Berlusconi abbia mostrato i suoi pregi e i suoi limiti, come tutti gli altri politici, ma che non abbia avuto in alcun modo fini eversivi».

C'è altro da dire. Il tema Berlusconi, in vista delle elezioni del 1994, era centrale: «Nel Partito Popolare c'era chi, come Rocco Buttiglione, spingeva per allearsi con lui: personalmente ritenevo fosse molto importante stabilire un'intesa ma alla fine l'intesa non fu possibile La tendenza prevalente nel Ppi fu di demonizzare Berlusconi, incolpandolo di aver rubato i loro voti e di rappresentare un pericolo per la democrazia. Non accettai questa linea».

E rieccoci a Scalfaro, che una volta di più si può ipotizzare che passerà alla Storia perché cercò di assumere un ruolo che andasse oltre la tradizionale custodia delle istituzioni per assomigliare sempre più a una sorta di arbitro-giocatore. I suoi profili di ambiguità, in quel triennio, furono infiniti. Restando a Berlusconi, e ancora al Corriere, furono in molti il 17 gennaio 2008 a leggere e rileggere una frase di Scalfaro pensando che in via Solferino fossero incorsi in un increscioso errore di stampa: «L'avviso di garanzia che fu recapitato a Berlusconi a Napoli, durante il vertice dell'Onu del '94, arrivò con un tempismo singolare. Oggi come allora la domanda è dove fosse l'urgenza. E bisogna riconoscere che anche fatti come questi, uniti a certi atteggiamenti ultra-difensivistici del Csm, contribuiscono ad alimentare la sfiducia nei cittadini». Disse così. Eppure, dieci anni prima, in un'intervista sulla Prealpina del 14 luglio 1998, l'ex ministro leghista Roberto Maroni l'aveva messa in tutt'altro modo: «Scalfaro seppe del provvedimento non il 21 novembre... ma prima. Qualche giorno prima. Me lo rivelò lui stesso. Nell'inverno del 1994 io ero di casa sul Colle. Scalfaro mi disse che Borrelli, con il quale aveva un franco rapporto di amicizia, l'aveva messo al corrente dell'iscrizione del premier nel registro degli indagati. Quando? Non mi precisò una data esatta. Tuttavia, sicuramente qualche giorno prima che s'aprisse la conferenza di Napoli».

Quel 22 novembre 1994, quando Berlusconi ricevette il famigerato mandato di comparizione, Scalfaro peraltro rifiutò di ricevere proprio lui, Berlusconi. Telefonò a Gianni Letta e gli disse: «Ma chi è Berlusconi? Da chi riceve il mandato? Come si permette di dire quelle cose sulla magistratura e sulla mia persona?».

Il 24 novembre Berlusconi chiese ancora e invano di essere ricevuto al Quirinale, ma Scalfaro gli fece sapere che doveva ricevere il presidente della Guinea-Bissau e una delegazione della Coldiretti. Seguirà Ribaltone di governo, con Scalfaro a benedire.

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