In piena emergenza Covid-19 girava un video divertente in cui si vede un energumeno con il passamontagna che sbraita con forte accento romano: «'Ndo sta sto coronaviruse? Se lo pijo, due ore e lo sfondo». Ecco, ogni volta che Domenico Arcuri apre bocca, al netto del differente accento dialettale, viene il sospetto che sotto quel passamontagna ci sia lui. Se fosse uno scolaro, sarebbe il compagno di classe un po' bullo che le spara grosse: «Lo sai che una volta mio cugino è morto?». Poi arriva il professore, lo prende per le orecchie e lui piagnucola: «Io non c'entro, è stato Franti!». L'ultima performance del manager scelto da Giuseppe Conte per completare la squadra di geni che ci ha portato ai primi posti al mondo per tasso di mortalità da coronavirus e, allo stesso tempo, al record per paralisi dell'economia, è arrivata nell'ennesima conferenza stampa con cui il manager è solito darsi pacche sulle spalle da solo. Ieri però ha esagerato in mancanza di senso, sia della misura che dell'umorismo. Come ha definito la propria performance il commissario straordinario? «Straordinaria». Ed è anche rimasto serio mentre lo diceva. «Per una volta -si è autocompiaciuto- sarebbe bello se ci accorgessimo che siamo stati straordinari: i fatti hanno prevalso sulle chiacchiere, il virtuosismo sull'autolesionismo». Il mix è sempre il solito: trionfalismo, stigmatizzato perfino da qualche esponente del Pd, mescolato a condiscendenza nel trattare la libertà come bene elargito dall'alto: «Dopo 84 giorni l'Italia si è ritrovata più unita e più libera. Questo non è un risultato piovuto dal cielo né una scelta irresponsabile ma il frutto dei sacrifici di tutti gli italiani, delle scelte del governo e delle capacità di applicarle». Eppure nel complessivo disastro che è stata l'emergenza, poche cose hanno funzionato così sistematicamente male come quelle gestite da Arcuri. Ieri si è vantato perfino dell'app Immuni. Eppure è chiaro che distribuita due mesi fa sarebbe stata scaricata da tutti gli italiani, oggi la vogliono in pochi ed è di dubbia efficacia. O i tamponi che Arcuri ha inseguito invano in tutto il mondo mentre in Veneto il professor Crisanti trovava un sistema fai-da-te. Fino al capolavoro delle mascherine. Il commissario ha fin dall'inizio deciso che andavano prodotte in Italia e ha stanziato un fondo a disposizione di chi riconvertiva l'azienda. Intanto ha iniziato a scoraggiare l'importazione con controlli infiniti rendendo difficile l'acquisto all'estero, inciampando in varie figuracce come la consegna di 600mila mascherine cinesi inutilizzabili all'ordine dei medici.
Il culmine l'ha raggiunto il 26 aprile quando ha fissato il prezzo di vendita a 50 centesimi mettendo fuorigioco le aziende che aveva incentivato a produrre e le farmacie. È finita così: mascherine introvabili, risarcimenti a pioggia alle aziende e sua invettiva contro i «liberisti da divano». Straordinario davvero.
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