Matrimoni forzati, sono decine in Italia le ragazze straniere vittime di violenza

Farah, Sana e le altre: sono decine le ragazze rapite o uccise negli ultimi anni in Italia per essersi opposte ai matrimoni combinati dalle famiglie musulmane nei Paesi d'origine o per il fatto di vivere all'occidentale

Matrimoni forzati, sono decine in Italia le ragazze straniere vittime di violenza

Quello della ragazza pakistana ventitreenne costretta dalla famiglia ad abbandonare gli studi e trasferirsi nella sua terra d’origine per sposare un uomo che neppure conosce, non è un caso isolato.

Prima di lei ci sono state Farah, Sana, e decine di altre ragazze. Il copione è sempre lo stesso: un biglietto di sola andata per il Pakistan, un matrimonio pronto da celebrare con un estraneo, le richieste di aiuto, la violenza. Una violenza cieca, crudele, come quella perpetrata nel maggio scorso sulla studentessa iscritta all’ultimo anno dell’istituto professionale Samicheli di Verona. Farah, 19 anni, incinta di un suo connazionale conosciuto in Italia, portata con l’inganno nel suo Paese d’origine. Qui è stata narcotizzata e legata per otto ore ad un letto, sul quale è stata costretta ad abortire con una pillola somministratale da una dottoressa del posto. “Mio padre vuole che mi sposi qui”, aveva scritto alle amiche su Whatsapp, denunciando i soprusi. Furono proprio quei messaggi a far scattare le indagini della Polizia che hanno contribuito a liberare la ragazza, prigioniera della famiglia ad Islamabad.

Non si è conclusa con un ritorno a casa, invece, la storia di Sana Cheema, giovane italo-pakistana uccisa dal padre e dai fratelli. Strangolata nella sua casa di Mangowal nel distretto di Gujrat, dove l’avevano trasportata a forza da Brescia. Qui viveva, lavorava e progettava il suo futuro con un ragazzo italiano di cui era innamorata. Era proprio questa la sua unica colpa: voler sposare un uomo diverso da quello che suo padre, Ghulam Mustafa, aveva scelto per lei. Una scelta che ha pagato con la vita, rifiutando il matrimonio combinato impostogli in Pakistan dalla famiglia. Stessa sorte toccata, sempre nel bresciano, ad un’altra giovane pakistana, Hina Saleem, uccisa brutalmente a soli vent’anni, nell’agosto del 2006, per i suoi comportamenti giudicati troppo simili a quelle delle ragazze occidentali. Il padre, Mohammed Saleem, che l’ha colpita assieme ai due cognati con venti coltellate, per poi sgozzarla e seppellirla nel giardino della sua abitazione, è stato condannato a 30 anni di carcere.

Ma la scia di sangue e violenze non si ferma qui. Nel 2009 a perdere la vita è Sana Dafani, giovane marocchina uccisa dal padre, sempre per motivi religiosi, mentre era in compagnia del fidanzato italiano. I due sorpresi in auto in una frazione di Montereale Valcellina, in provincia di Pordenone, stavano andando al lavoro. Sana non ci sarebbe mai arrivata. Nel 2012 è la volta di Kaur Balwinde, una donna indiana di 27 anni. Era incinta di tre mesi quando è stata strangolata dal marito, Kabir Singhj, il corpo gettato nel Po. Tutto perché la donna parlava perfettamente italiano e si comportava da occidentale. È di nuovo a Brescia, nel 2016, che un’altra diciannovenne pakistana, Jamila, denuncia i maltrattamenti subiti dalla sua famiglia dopo essersi opposta al matrimonio combinato dai suoi familiari con un cugino in Pakistan.

E i soprusi non risparmiano nemmeno le più piccole. Ad aprile del 2017 una ragazzina egiziana di 14 anni ha tentato il suicidio per scampare al matrimonio combinato dai genitori in Egitto con un uomo di dieci anni più grande di lei. Un mese prima, nel marzo dello scorso anno, un’altra adolescente, stavolta originaria del Bangladesh, è stata rasata a zero dalla famiglia dopo aver rifiutato di indossare il velo. Lo scorso anno gli esperti del Telefono Azzurro avevano definito quella dei matrimoni forzati una piaga "in aumento nel nostro Paese".

Le Nazioni Unite, come riferisce Il Fatto Quotidiano, stimano che oltre 700 milioni di donne nel mondo siano costrette a sposarsi contro la loro volontà ancor prima di aver compiuto 18 anni. Nel nostro Paese si tratta di un fenomeno perlopiù sommerso, che coinvolge, nella maggior parte dei casi, famiglie di origine straniera.

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