Per la prima volta dopo sette trimestri positivi consecutivi il Pil italiano ha chiuso con un segno meno. Negli ultimi tre mesi del 2022 l'economia è scesa dello 0,1%. Ma le brutte notizie finiscono qui. Prima di tutto perché questo dato è migliore delle previsioni, che andavano da -0,2 fino a -0,4%; poi perché, di conseguenza, l'intero Pil del 2022 è risultato più in salute di quanto il governo non avesse stimato: si attendeva un +3,7% che, invece, è diventato +3,9%. Infine, in proiezione 2023, la crescita acquisita, grazie all'effetto trascinamento, risulta positiva dello 0,4%: la temuta recessione sembra più lontana o, comunque, limitata a un fatto tecnico e non di sostanza.
I meriti? Senz'altro vanno alle imprese, soggetti attivi di un sistema economico che mostra tutta la sua forza nelle difficoltà. Lo ha fatto dopo la pandemia e lo sta facendo adesso con la crisi energetica. Dal manifatturiero al turismo, gli imprenditori italiani sono anche riusciti - in novembre - a riportare la bilancia commerciale in attivo. Con i loro animal spirit sempre veloci a risvegliarsi, hanno fatto fronte a emergenze inattese dando prova di flessibilità e intelligenza, sia nella gestione della produzione sia in quella del lavoro.
E il governo? Qui viene il bello. Perché, di fronte a una situazione di questo tipo, ci sarebbero tutti gli elementi per rivendicare - a torto o a ragione, non importa - capacità di ogni tipo. E, invece, poco o niente. Se si pensa allo scenario apocalittico del 20 luglio scorso, con le dimissioni di Mario Draghi e la tempesta perfetta che aspettava il Paese in attesa delle elezioni, con l'inflazione a due cifre, benzina e bollette alle stelle e la Bce che aumentava i tassi d'interesse a manetta, quello che vediamo adesso è straordinario: al Pil che sfiora il 4%, si aggiunge infatti la Borsa che da gennaio ha guadagnato l'11%, lo spread finito fuori dai radar e una previsione per un prossimo calo delle bollette di luce e gas nell'ordine del 35%.
Di sicuro al governo guidato da Giorgia Meloni va il merito di aver accompagnato questa congiuntura mostrando verso l'esterno e la Ue in particolare l'unico atteggiamento possibile. Quello di un accreditamento progressivo, privo di attriti o contrapposizioni ideologiche, con l'obiettivo di diventare un partner affidabile. Un approccio opposto a quanto si poteva aspettare chi aveva sottovalutato le qualità politiche della premier. È il segno che l'epoca giallo-verde è finita per sempre, al pari di quel sovranismo ideologico e inconcludente che l'aveva accompagnata.
D'altra parte chi si è fermato a quella fase è oggi lì davanti agli occhi di tutti: è quel Regno Unito rimasto incagliato nella sua Brexit, che compie proprio oggi tre anni. E li festeggia con il peggiore tra i Pil dei Paesi del G7: è l'unico per il quale il Fmi prevede per il 2023 un dato negativo. Nessuno farà peggio di loro, nemmeno la Russia. Una lezione più chiara non poteva esserci.
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