La strana elezione di ieri di Ignazio La Russa alla presidenza del Senato senza i voti di Forza Italia, più che una partenza falsa del centrodestra, cosa che comunque non si può negare, è soprattutto un segnale, un monito per il futuro. E la questione è quella che scrivo su questo Giornale sin dall'indomani del voto: non è in discussione la nascita del governo Meloni, anche dopo le vicende singolari di ieri il parto ci sarà; semmai il problema è creare le condizioni per cui viva l'intera legislatura. E, purtroppo, l'incubazione del nuovo esecutivo - è tutto qui il significato dell'episodio di ieri - finora non è stata delle migliori.
Il fatto che La Russa sia stato eletto, ad esempio, senza il consenso degli azzurri - mi sbaglierò - non è un dato confortante, né è un successo della Meloni. Semmai potrebbe trasformarsi in una vittoria di Pirro, perché i voti che hanno permesso l'elezione di La Russa - in parte garantiti dallo stesso Cav - non si trasformeranno mai nella maggioranza di un governo Meloni senza Forza Italia. Anzi, chi ha votato - vedi gli uomini di Calenda e Renzi - al di là delle intese per i ruoli parlamentari concordate con Fratelli d'Italia, è stato mosso anche dall'obiettivo di dividere il centrodestra e cominciare il cammino per sostituire il governo Meloni con un altro equilibrio politico e un altro esecutivo. Del resto Calenda, Renzi e Letta sono gli stessi gufi che da settimane ripetono che il governo non durerà più di sei mesi.
È questo l'argomento su cui dovrebbero riflettere i vertici dei tre partiti del centrodestra, ma, innazittutto, la leader del partito di maggioranza relativa e prossimo premier. È su di lei che ricadono le maggiori responsabilità. Eludere il tema non è certo il modo per partire sotto i migliori auspici. Data la situazione complicata dell'economia, il vero punto di forza della Meloni è la maggioranza parlamentare uscita dalle urne. E per tenerla unita e compattarla, il prossimo premier deve trasformare il governo in «un'impresa collettiva», non mortificando i partiti che fanno parte della coalizione, ma coinvolgendoli. A partire dalla scelta dei ministri. Quella dovrebbe essere la sua prima preoccupazione. Non i giornali, pronti ad osannarla oggi per come tratta Berlusconi e a gettarla alle ortiche domani.
È la storia della seconda Repubblica, dei governi di centrodestra, dal primo all'ultimo. Chi è riuscito a resistere a quelle sirene, vedi il Cav, è sopravvissuto. Gli altri sono spariti nel nulla. Anche perché, purtroppo, questo è un Paese che quando vince il centrodestra vede mobilitarsi il giorno dopo piazze e procure. Sempre e comunque. Per cui, per farcela devi tenerti cari quelli che hai vicino, garantendoti la loro solidarietà e il loro appoggio convinto. È la filosofia degli esecutivi di coalizione da che mondo è mondo. Per fare quattro governi, il Cav si è fatto un fegato grosso così trattando con Bossi e Fini, con Casini e Follini.
Non deve essere stata una bella condizione, ma è la strada per guidare un governo longevo che abbia il tempo e la forza per cambiare il Paese. Ancora oggi è purtroppo lo scotto che deve pagare qualsiasi premier che deve governare con partiti alleati. Un domani forse, magari in una Repubblica presidenziale o semi-presidenziale, sarà diverso.
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