"Chiedo un intervento del governo italiano e del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni per garantire giustizia a mio figlio". È l'appello di Cecilia Greco, una "mamma coraggio" che da nove anni combatte per ottenere la condanna degli aguzzini di Simone Renda. Bancario leccese di 34 anni, arrestato "illegittimamente" in un albergo a Playa del Carmen, picchiato e condotto in una cella del carcere messicano da cui è uscito cadavere dopo 42 ore di agonia.
La vicenda risale al 3 marzo del 2007 e ha fatto il giro d'Italia. Myrta Merlino l'ha raccontata nel suo ultimo libro, "Madri", in cui ha dedicato un capitolo intero alle battaglie combattute dalla signora Cecilia. Battaglie che hanno portato all'apertura di un processo in Italia contro i presunti resaponsabili, accusati di omicidio volontario e violazione dell'articolo 1 della Convenzione Onu contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti. Gli otto imputati, tutti cittadini messicani, sono il giudice qualificatore Hermilla Valero Gonzalez; il responsabile dell’ufficio ricezione del carcere Cruz Gomez; la guardia carceraria Enrique Sánchez Nájera; il vicedirettore del carcere Pedro May Balam; gli agenti della polizia turistica Francisco Javier Frias e Jose Alfredo Gomez; Arceno Parra Cano e la guardia carceraria Luis Alberto Landeros. Tre di loro, però, risultano allo stato irreperibili. E questo rischia di rendere vani tutti gli sforzi sostenuti fino ad oggi.
Simone era in vacanza da solo: i due amici con cui sarebbe dovuto partire hanno rinunciato al viaggio qualche tempo prima. La mattina del volo di ritorno a casa si è svegliato tardi e, quando ha aperto gli occhi, si è trovato davanti gli agenti di polizia. Spaventato è uscito sul balcone della camera in boxer e per questo, secondo l'accusa, è stato condotto in carcere. Un tragitto di 6 minuti per cui è stata impiegata un'ora e mezza. Forse è stato picchiato. Probabilmente gli sono stati chiesti i soldi per pagare la multa, ma lui aveva finito i contanti. Arrivato in prigione, aveva la pressione altissima. Il medico, secondo la ricostruzione accusatoria, ha chiesto ai secondini di accompagnarlo in ospedale. Invece è stato abbandonato in cella. Nel corso del processo che si concluso in Messico dopo che la madre si è opposta alla cremazione del cadavere del figlio e ha presentato denuncia, "il magistrato ha dichiarato di non averlo rilasciato prima perchè non aveva carta e penna", spiega la signora Cecilia. "Caso fortuito" lo hanno definito i giudici latino americani. Per un "caso fortuito" Simone non c'è più.
Sua madre sa che una condanna non lo riporterà a casa, ma non può accettare che la sua morte venga "archiviata" come una morte inutile. Una sentenza "giusta" oggi potrebbe almeno lenire il dolore di tante altre madri che soffrono come lei.
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