Si è spenta oggi a 97 anni, Giulia Maria Crespi, già proprietaria del Corriere della Sera e fondatrice, insieme a Renato Bazzoni, del Fai (Fondo per l'ambiente italiano). In una lettera inviata inviata nel 2011 a Repubblica per sostenere la campagna elettorale di Giuliano Pisapia, la Crespi si definì semplicemente una "vecchia rappresentante della borghesia milanese". Ma Giulia Maria Crespi era molto di più. Fu colei che cercò di traghettare la borghesia italiana a sinistra, utilizzando il quotidiano di Via Solferino. E ci riuscì.
Riavvolgiamo il nastro e ripercorriamo quegli "anni formidabili", come li definì Mario Capanna, amico della Crespi (ma lei smentì sempre). Il Corriere è diretto da Giovanni Spadolini (1968-1972), un liberale doc che rispetta le istituzioni. Giulia Maria non lo tollera. E i manifestanti di estrema sinistra le offrono, seppur involontariamente, l'assist per farlo fuori. Protestano davanti alla redazione del Corriere e fanno il loro solito disastro, sfondando porte e finestre. I redattori del giornale si fiondano a guardare, a raccontare e, soprattutto, a cercare di comprendere chi sono i manifestanti. Tra questi individuano anche l'editore Giangiacomo Feltrinelli. Ovviamente il Corriere fa il suo nome nella cronaca del giorno seguente. Apriti cielo! Come riporta Giancarlo Perna, la "Crespi si inviperisce perché Giangiacomo è suo amico e non le va si sappia che è un esagitato. Inoltre, le ha giurato che non c’era. A Giulia Maria sembra un buon pretesto per licenziare Giovannone e gli fa un liscio e busso dell’accidente. Ma Franco Di Bella, futuro direttore, aveva una foto di Feltrinelli tra gli energumeni. La prova parlava da sé e il tentativo fallisce". Pochi giorni dopo, si verifica lo stesso scenario. Altri esagitati assaltano il Corriere con le molotov. Spadolini, che non è un cuor di leone, come ricorda Perna nel suo articolo, medita di dimettersi, ma Giulia Maria Crespi lo anticipa e, sfruttando un suo giorno di riposo, lo licenzia in tronco. Arriva un nuovo direttore, più accondiscendente, Piero Ottone, ma la Crespi vuole rivoluzionare il suo giornale. Dino Buzzati? Troppo tradizionale, tanto da esser tentata di convocarlo a casa sua per contestargli di "valutare la pittura in un’ottica borghese".
Non fu da meno con Indro Montanelli, il quale alla fine preferì fare le valigie e fondarsi un suo giornale, Il Giornale appunto. Ma lo fece a suo modo. Quando Ottone gli chiese di scrivere un ritratto di Camilla Cederna, firma dell'Espresso e amica della Crespi, Indro la demolì, scatenando le ire della proprietà che chiese la sua testa. Così Indro cadde, per poi rialzarsi e definirla "dispotica guatemalteca".
La vita della Crespi fu un lungo innamoramento per la sinistra. In una recente intervista elogiò l'ambientalismo (e forse non poteva non essere così) di Greta Thunberg: "Gli uomini sciocchi, rancorosi e vecchi ne parlano male. La deridono. Io invece adorerei conoscerla questa magnifica ragazzina di 16 anni che sta scuotendo il mondo. Mi piacciono i suoi occhi, il suo tono, il suo calmissimo furore". E sono noti i suoi attacchi a Silvio Berlusconi e, più recentemente, a Matteo Salvini ("usa la paura, la rabbia e l’ignoranza per distruggere il Paese e l’Europa"). Ne aveva per chiunque non la pensasse come lei. Per il suo carattere e il suo essere pasionaria era chiamata "la zarina".
Il presidente Carlo Azeglio Ciampi la insignì dell'onoreficenza di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine "al merito della Repubblica Italiana".
Il cancro provò a stroncarla sei volte, ma lei era più forte e lottava con coraggio. Diceva di resistere e questa fu la battaglia più grande degli ultimi anni. Combattè, in questo caso, da buon soldato. L'onore delle armi è d'obbligo. Parce sepulto.
Riceviamo e pubblichiamo:
Gentile direttore, l’articolo del Giornale.it che commemora Giulia Maria Crespi, gran donna, mi mette alla testa di un corteo di esagitati che assaltò la sede del Corriere della Sera a suon di bottiglie molotov il 14 marzo del 1972. Non ebbi niente a che fare con quell'episodio.
Non mi arrivò mai all’orecchio una simile voce fino al 1990, quando Vittorio Zucconi la raccolse a p.48 del suo “Parola di giornalista”, Rizzoli. Glielo feci osservare e se ne scusò pubblicamente. Vogliate prenderne nota anche voi, e abbiate i miei saluti, Adriano Sofri.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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