Nel Paese dei sussidi che dimentica le imprese

C'è un'Italia che da anni combatte una difficile battaglia per sopravvivere. Gli ultimi dati Istat (che si riferiscono alla fase pre-epidemia) parlano di una riduzione del numero di quanti vivono sotto la soglia della povertà

Nel Paese dei sussidi che dimentica le imprese

C'è un'Italia che da anni combatte una difficile battaglia per sopravvivere. Gli ultimi dati Istat (che si riferiscono alla fase pre-epidemia) parlano di una riduzione del numero di quanti vivono sotto la soglia della povertà (nel 2019, in effetti, sarebbero il 6% in meno rispetto al 2018), ma si tratta di un'informazione ormai invecchiata. È infatti evidente quanto tutto sia cambiato in questi ultimi mesi. Le misure adottate dal governo per fronteggiare il Covid-19 non solo hanno cancellato ogni sforzo fatto in precedenza, ma hanno pure aggravato - e di molto - una situazione già difficile. Come da più parti è stato rilevato, queste cifre Istat che indicherebbero un flebile miglioramento rispetto al 2018 si riferiscono a una fase remota, dato che lo stop obbligato a tante attività di vario tipo ha già causato fallimenti e licenziamenti. Sono, quindi, numeri ormai del tutto irreali.

Sul piano politico, inoltre, siamo di fronte a un risultato di questo tipo: proprio coloro che - con enfasi - avevano perfino annunciato la «fine della miseria» (introducendo il reddito di cittadinanza) si trovano ora alla guida di un Paese non soltanto sempre più povero, ma anche ormai passivo e rassegnato. La nostra è una società che, a tutti i livelli, è in attesa di aiuti pubblici che, il più delle volte, non ci sono e non arriveranno. Non soltanto la miseria è divenuta un fenomeno di massa, ma spesso siamo psicologicamente incapaci di reagire, dominati dall'illusione che debbano essere altri a risolvere i nostri problemi.

Insomma, non assomigliamo in alcun modo all'Italia dell'estate del 1945, che si trovava tra macerie materiali e morali, ma aveva la consapevolezza che con il proprio lavoro avrebbe potuto ripartire. Colpisce, in questo quadro, l'assoluta inconsapevolezza di un governo che continua a moltiplicare regole e misure a favore di questo o quel gruppo, quando invece sarebbe necessario comprendere le vere radici della povertà: un insieme di leggi e imposte che stanno progressivamente riducendo la produttività delle imprese. E quando il sistema produttivo si ferma, sono proprio gli ultimi a pagare il prezzo più elevato.

Da vari punti di vista, la messinscena degli Stati generali raffigura meglio di qualunque altra cosa questo perenne contrasto tra un Paese «ufficiale» che vive di retorica e un Paese «reale» che deve fare i conti anche con l'atavico disprezzo delle élite intellettuali italiane per l'economia e per le logiche della produzione.

Chi ascoltasse il premier Conte senza leggere i giornali, senza parlare con i vicini di casa e con i propri colleghi, potrebbe illudersi che tutto stia procedendo verso il meglio.

«Tutto andrà bene», dicevano nei giorni scorsi gli striscioni messi sui balconi e alle finestre. Con questa classe politica non è possibile e sicuramente non sarà così.

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