Chiesa cattolica sempre più nel mirino del governo sandinista in Nicaragua. A nulla sono valse le parole distensive pronunciate da Papa Francesco sul volo di ritorno dal Kazakistan. "In questo momento c'è dialogo", aveva detto il pontefice argentino rispondendo ad una domanda sulla situazione nicaraguense. Questa settimana, però, sono arrivate le parole di fuoco del presidente Daniel Ortega a schiaffeggiare la mano tesa dalla Santa Sede.
L'ex guerrigliero, rieletto per la quarta volta nel 2021 dopo elezioni contestate dalla comunità internazionale, dall'inizio dell'anno in corso ha messo nel mirino la Chiesa che con i suoi vescovi e religiosi ha denunciato le violazioni dei diritti umani e la repressione della società civile in atto. Ortega ha affermato nel corso di una diretta che la Chiesa cattolica "usa i vescovi qui in Nicaragua per realizzare un colpo di Stato", chiedendo retoricamente: "Da quando i sacerdoti hanno l'autorità per parlare di democrazia?".
Il leader sandinista, affiancato dalla moglie e vicepresidente Rosario Murillo che annuiva vistosamente, si è definito un cattolico che "non si sente rappresentato" dal papa perchè vescovi e preti "parlano di democrazia ma non praticano la democrazia". "Se vogliono essere democratici - ha continuato Ortega - comincino a farsi eleggere", aggiungendo che se il Papa si facesse eleggere dal voto dei cattolici "sarebbe una rivoluzione" mentre ora la Chiesa sarebbe una "dittatura perfetta".
Toni incendiari che vanno di pari passo con quanto sta succedendo nel Paese dall'inizio del 2022: la Chiesa cattolica, ultima realtà indipendente rimasta in Nicaragua, sta subendo da mesi la repressione del regime autoritario con arresti di decine di religiosi e la chiusura delle radio cattoliche. Nella diocesi di Matagalpa, ad esempio, il vescovo Rolando Álvarez è agli arresti domiciliari e le suore che hanno pregato il rosario in cattedrale per la sua liberazione sono state espulse dal Paese.
Sull'espulsione di religiose, lo stesso papa si era espresso nella conferenza stampa di ritorno dal Kazakistan dicendo di aspettarsi che "almeno le suore di Madre Teresa di Calcutta tornino. Queste donne sono brave rivoluzionarie, ma del Vangelo! Non fanno la guerra a nessuno. Anzi, tutti abbiamo bisogno di queste donne". E invece, i toni concilianti di Francesco non sono serviti a fermare la politica repressiva di Ortega che nella sua intemerata anticlericale ha persino parlato di "una Chiesa che è stata corrotta, che ha denigrato Cristo, che ha macchiato Cristo" arrivando a sostenere che i religiosi nel mondo "hanno commesso migliaia di crimini nel mondo".
In questi mesi in Nicaragua sta aumentando il numero di sacerdoti finiti in carcere per reati comuni, talvolta oggetto di accuse poi ritrattate e senza la possibilità di vedere i familiari. Il clima di paura è tale che José Canales, vescovo della diocesi di Danlí, in Honduras, ha fatto sapere che circa cinquanta sacerdoti nicaraguensi hanno chiesto rifugio in Honduras e Costa Rica perché spaventati dalle azioni del governo di Managua.
L'attacco frontale di Ortega è senz'altro uno schiaffo all'atteggiamento conciliante che Francesco ha deciso di adottare di fronte all'escalation in atto nel Paese dell'America centrale testimoniato dalla risposta data alla giornalista di Rome Reports, Maria Angeles Conde Mir sul volo dal Kazakistan. Managua, d'altra parte, è entrata di recente nella sfera d'interesse di uno dei protagonisti mondiali a cui l'attuale pontificato guarda con attenzione: la Cina. Ortega, infatti, ha interrotto le relazioni diplomatiche con Taiwan ed ha esaltato Pechino per il "ruolo guida che svolge oggi nella costruzione del nuovo ordine mondiale multipolare".
Piccola curiosità: la residenza dell'ex ambasciata taiwanese a Managua sarebbe dovuta andare all'arcidiocesi cattolica locale dopo la donazione fatta da Taipei ma, come spiegano i media internazionali, Ortega ha deciso di requisirla e di assegnarne la proprietà alla Repubblica Popolare Cinese.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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