E dunque, «nessuna trattativa con i talebani», chiarisce Luigi Di Maio a nome del governo: la linea è questa e Giuseppe Conte, per il quale invece «non c'è alternativa al dialogo», si dovrà rassegnare. E nessuna sbandata antiamericana. «In together, out together», spiega Lorenzo Guerini. Ci sono stati dissensi, anche forti. «Per me era necessario prolungare la presenza della Nato anche oltre la scadenza - dice il ministro della Difesa - perché le condizioni politiche e di sicurezza dell'accordo erano lontane». Però poi, «in coerenza con i valori dell'alleanza», l'Italia ha sostenuto il «cambio di paradigma» deciso da Washington. «Ci sarà tempo per riconoscere le responsabilità», aggiunge Di Maio. Ora si lavora uniti.
Via da Kabul entro il 31, come indicato da Mario Draghi. Intanto il Parlamento riapre e i ministri riferiscono per quattro ore alle commissioni Esteri e Difesa riunite. Trentadue italiani sono voluti restare in Afghanistan. «Qualora dovessero cambiare idea, siamo pronti a rimpatriarli», assicura Di Maio. Tutti in salvo i connazionali che hanno chiesto di partire più 2.700 afghani, principalmente collaboranti con le nostre istituzioni. «Era un dovere morale. E altri mille sono in sicurezza in aeroporto in attesa del volo». L'Italia, «nonostante il precipitare degli eventi e con le milizie talebane che entravano in città», è stato uno dei primi Paesi ad attivare un efficace ponte aereo. Ma il tempo sta scadendo. «Dopo che gli americani avranno lasciato Kabul non sarà possibile né per noi né per nessun membro dell'alleanza mantenere una qualunque presenza nello scalo».
Via dopo vent'anni e tanti soldati morti. «Tuttavia non siamo stati in Afghanistan invano - insiste il titolare della Farnesina -. La presenza occidentale ha fatto fare grandi passi avanti al Paese. Pozzi, strade, scuole, reti elettriche. In questo periodo abbiamo contribuito a mantenere la stabilità regionale, contrastare il terrorismo, favorire più istruzione, diritti e libertà per il popolo afghano. Errori? Responsabilità? Quando sarà il momento opportuno rifletteremo sulle lezioni da apprendere, sulla liquefazione istantanea delle forze armate locali».
Ora però c'è ancora del lavoro da finire. Corridoi umanitari, pressioni, salvaguardia delle organizzazioni umanitarie. «Dobbiamo fare il possibile - dice ancora Di Maio - perché quei diritti conquistati non siano brutalmente cancellati. L'immagine delle donne che lanciano i propri figli oltre il filo spinato ci racconta del terrore e della fiducia nei nostri confronti. Ci sprona a preparare una strategia a lungo termine». Il problema è come. Sarà pure vero che non si possono scegliere gli interlocutori, però negoziare con i talebani non sembra un'opzione. Chi si fida di loro? Delle loro promesse di moderazione? «Li giudicheremo dalle azioni non dalle parole» sostiene il ministro degli Esteri. Le prime non sono incoraggianti. «In alcune città stanno tornando decisioni inaccettabili, come i matrimoni forzati e l'istruzione negata alle ragazze». Inoltre, i profughi. Di Maio chiede soldi per la cooperazione ma l'immigrazione può come sempre mettere in difficoltà la coesione della maggioranza. «È una questione che deve essere affrontata da tutta la Ue».
E c'è pure un altro problema. «La presenza di Al Qaeda e Daesh preoccupa. L'Afghanistan non deve tornare ad essere il rifugio dei terroristi», spiega Guerini. Per questo, una volta partiti gli occidentali «dobbiamo coinvolgere altri attori, soprattutto quelli della regione». Andrà così? Avremo un altro buco nero? «Dopo due decenni di sforzi - ammette il ministro della Difesa - la sensazione è di una pesante sconfitta dell'intera comunità internazionale. La situazione del Paese è ben diversa da quella immaginata anche solo pochi mesi fa». Una Caporetto della Nato, che verrà «giudicata in altre sedi». Non una disfatta italiana.
«I nostri militari escono a testa alta e avendo pagato un alto sacrificio umano con 54 vittime. Siamo stati apprezzati ovunque. Abbiamo sempre dato la priorità allo sviluppo e alla sicurezza delle comunità locali». Abbiamo fatto la pace più che la guerra. Ma la pace non c'è.
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