Nel panorama della politica italiana alla vigilia delle amministrative manca un tassello, la presenza di una forza democratico-liberale che si opponga alla sinistra di matrice socialista. Tale assenza certifica il fallimento del tentativo berlusconiano di creare un sistema politico rispettoso dell'alternanza fra forze e progetti politici di matrice liberale e di matrice socialista.
Perciò, ora, il quadro che ne esce è quello di un governo che cercherà all'interno della propria maggioranza un'ipotesi alternativa a se stesso. È il segno del fallimento del generoso tentativo di Berlusconi di creare un sistema politico concretamente bipolare fra una componente liberal-democratica rappresentata da Forza Italia - e una componente democratico-socialista erede del compromesso raggiunto alla Costituente del 1948. Ma il compromesso è anche il segno della mancata elaborazione di un'ipotesi di Paese che la Resistenza vittoriosa sul fascismo avrebbe dovuto produrre e non ha prodotto. Il compromesso non ha retto di fronte a un Paese a metà (ancora) fascista (e burocratico), per quanto riguarda i rapporti fra lo Stato e i cittadini e a metà sovietico per quanto riguarda il futuro. Per quasi 60 anni a colmare il vuoto teorico e politico aveva provveduto la Dc, col suo innato pragmatismo anti-ideologico. Ma il vuoto si è riprodotto ed è ricomparso con la rottamazione della prima Repubblica a opera di Matteo Renzi, che ha creato le condizioni politiche propagandistiche per il proprio personale successo, ma non quelle per la nascita di un sistema politico compiuto e funzionale.
Le amministrative di Milano, Roma, Torino si ridurranno a un banco di prova della riforma costituzionale voluta da Renzi, cioè una sorta di referendum sul premier, come lui stesso, in fondo, ha voluto. Non sarà, comunque, una buona soluzione. La riforma costituzionale è abborracciata e pessima. Postula un sistema elettorale che pare fatto apposta per mettere gli elettori di fronte all'alternativa fra M5S e Pd. Poiché a me non piace nessuno (...)
(...) dei due, finirò, ancora una volta, per non votare. Ma quel che è più inquietante è che lo faranno anche migliaia di italiani, che temono il movimento di Grillo e diffidano di Renzi. La verità è che siamo messi male, da qualunque parte si guardi alla situazione. Molti italiani hanno creduto, e ancora credono, che Renzi sarebbe stata (sia) la soluzione dei guai di cui soffre il Paese. Ma il suo decisionismo sconfina nell'autoritarismo e fa del suo modo di governare un ducetto che promette poco, e male, per l'avvenire della nostra già precaria democrazia. Se se ne vuole uscire, bisognerebbe che gli elettori bocciassero la riforma costituzionale e inducessero Renzi a tornarsene a casa, a Firenze. Ma si sono create le condizioni in base alle quali non si vedono soluzioni alternative al governo del rottamatore, che molti italiani amano perché assomiglia - ancorché vagamente e approssimativamente - al Duce.
La mancata riflessione su ciò che erano stati il fascismo e la Resistenza e l'assenza di un progetto del Paese nel quale si sarebbe voluto vivere hanno fatto il resto. Stretti fra il vecchio Stato fascista sconfitto e la prospettiva di diventare una democrazia popolare come quelle nate nell'est Europa, gli italiani si sono rifugiati nell'anticomunismo democristiano, accontentandosi di vivacchiare all'ombra del pragmatismo democristiano. Ma, con la rottamazione della prima Repubblica, ci si è scoperti privi di uno straccio di idea del Paese nel quale vorremmo vivere. Intendiamoci, non si tratta di definire, e sposare, un sistema ideologicamente chiuso, che non è propriamente ciò di cui abbiamo bisogno. Si tratterebbe unicamente di recuperare almeno in parte ciò che era stato e prometteva di evolvere il giolittismo: un modo di governare sanamente senza velleità definitive nella convinzione che meno lo Stato si occupa dei cittadini e pretende di farne modelli di virtù civiche, meglio è per tutti.
Piero Ostellino
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