"No alle unioni civili nello sgabuzzino": Tar boccia il Comune leghista

La coppia che ha denunciato il comune di Stezzano, nella Bergamasca, ha ottenuto un risarcimento pari a 6mila euro

"No alle unioni civili nello sgabuzzino": Tar boccia il Comune leghista

Il Tar di Brescia si è espresso contro il comune di Stezzano, nella Bergamasca, mettendo nero su bianco che un Comune non può celebrare i matrimoni "tradizionali" nel salone degli affreschi e le unioni civili in un ufficio qualsiasi, perchè rappresentebbe una discriminazione.

La vicenda

Come racconta il Corriere della Sera, il caso è scoppiato un paio di mesi fa quando due uomini, conviventi e residenti da anni a Stezzano, si sono rivolti ai giudici amministrativi per poter utilizzare la sala comunale dei matrimoni per la celebrazione della propria unione civile. Quando, alcuni giorni prima, uno dei due era andato in municipio per sapere quali documenti servissero per la cerimonia, aveva scoperto da un'impiegata che la giunta aveva disposto che le unioni civili fossero celebrate in una sala adiacente all'anagrafe. Una sorta di sgabuzzino diverso dalla sala di rappresentanza riservata ai matrimoni civili. La coppia ha quindi chiesto e ottenuto l’annullamento della delibera.

La decisione del Tar

Il Tar, nella sentenza, si richiama alla legge Cirinnà, quella sulle unioni civili, quando dice che "le disposizioni che si riferiscono al matrimonio, ovunque ricorrono nelle leggi e negli atti amministrativi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile". Contattata dal quotidiano di Via Solferino, il sindaco leghista di Stezzano, Elena Poma non ha risposto alle richieste di chiarimento. La delibera della giunta prevede pure che le unioni civili siano celebrate dai consiglieri comunali disponibili oppure da un dipendente delegato. Il Tar contesta anche questo passaggio sostenendo che la giunta di Stezzano individua a priori i soggetti abilitati alle celebrazioni. E tra questi non c’è il sindaco. Ma questa preventiva (auto)esclusione del sindaco, scrive il Tar, costituisce un’obiezione di coscienza non prevista dalla Cirinnà e anche un tentativo di aggirare la volontà del Parlamento.

Il risarcimento

I giudici condannano il Comune a pagare circa 6mila euro alla coppia.

"Di solito, in casi del genere, il Tar compensa le spese oppure indica cifre simboliche — dice Massimo Giavazzi che difende la coppia insieme a Stefano Chinotti e Vincenzo Miri —. Con questa scelta, secondo me si vuole sottolineare la condotta ingiustificata dell’ente pubblico".

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