Non sono i risultati delle elezioni regionali il punto di svolta che richiede al centrodestra di ripensare se stesso e di conseguenza il mondo. È la pandemia, di cui certo il voto recente è in parte figlio. Un lungo articolo del Wall Street Journal di ieri spiegava che con il virus dovremo convivere probabilmente fino al 2022, ma che gli effetti sociali e politici andranno ben oltre: se non tutto, molto non potrà tornare ad essere più come prima. Siamo insomma in una nuova fase: la formula sovranista, che aveva caratterizzato l'ultima stagione, ha bisogno di una profonda, radicale, revisione. Tra le varie voci del dibattito, mi sembrano importanti fino ad ora i contributi di Paolo Becchi e del Presidente Marcello Pera. Per Becchi, la pandemia e la violazione delle libertà individuali che essa porta con sé, richiede al sovranismo di diventare liberale, cioè di essere più attento di prima alle libertà individuali e alle garanzie formali. Per Marcello Pera, invece, gli effetti della pandemia stanno portando a un iper statalismo di tipo nuovo, che fa ritornare spendibile sul piano strategico la formula della «rivoluzione liberale». Il centrodestra non potrebbe quindi che dirsi liberale. Non me ne vorranno i miei amici ma a mio avviso la stagione del liberalismo è finita per sempre. La pandemia, non solo in Italia, sta dimostrando che le letture sulla società individualista erano affrettate: la maggior parte dei cittadini dei Paesi colpiti dal virus sembrano volontariamente e quasi felicemente barattare la libertà con la sicurezza. E questo dato antropologico deve essere tenuto in considerazione, dai pensatori certo, ma soprattutto dai politici. Mentre la sinistra nel mondo si identifica con il partito del lockdown, quasi compimento ideologico di un percorso secolare, i moderati e le destre non possono limitarsi a una posizione semplicemente liberale e libertaria, di sola, giusta, contestazione degli esperimenti autoritari in corso. La destra deve fornire una risposta alla domanda di sicurezza e di protezione, e per questo a nostro avviso si deve ispirare alla tradizione conservatrice. Il conservatore è naturalmente anche liberale, ma il suo primo obiettivo non è la tutela dell'individuo ma quella della comunità di persone.
Essere conservatori inoltre non equivale a passatisti o tiepidi: si può anzi in qualche misura si deve, essere rivoluzionari, ma rivoluzionari conservatori, reattivi a tutelare radici e tradizioni e al tempo stesso pronti ad accettare la sfida del mutamento, che la pandemia ha reso più veloce... Sovranisti? Liberali? Meglio chiamarsi conservatori.
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