Omicidio di Simone Renda: ​sei messicani condannati

Condanne tra i 25 e i 21 anni di carcere per l'omicidio del leccese Simone Renda, torturato a morte 10 anni fa in un carcere in Messico

Omicidio di Simone Renda: ​sei messicani condannati

Quello di Simone Renda è stato un omicidio volontario. Lo ha stabilito la Corte d’Assise di Lecce che ha condannato sei degli otto imputati coinvolti nel processo sulla morte del bancario 34enne leccese rimasto rinchiuso per due giorni nel carcere messicano di Playa Del Carmen, senza acqua né cibo. La madre di Simone, Cecilia Greco, dopo dieci anni di battaglie, ha accolto la sentenza in lacrime: "Questa è la dimostrazione che anche in Italia esiste la giustizia, seppure i tempi siano lunghi. Il mio pensiero va a tutte le madri che hanno visto i loro figli uccisi da uomini in divisa. Devo ringraziare i magistrati e i miei avvocati, che hanno creduto in me e in Simone, nonostante tutte le difficoltà di questo processo. La sentenza dimostra la piena responsabilità dello Stato messicano, perché tutti gli imputati rappresentano istituzioni del Paese. A distanza di dieci anni mi chiedo come ho fatto ad arrivare fino ad oggi: solo mio figlio mi poteva dare questa forza, meritava giustizia".

La condanna

La pena più alta, a venticinque anni di carcere, è stata inflitta al giudice qualificatore Hermilla Valero Gonzales e ai vicedirettori del carcere municipale Pedro May Balam e Arceno Parra Cano. A ventuno anni sono state condannate le guardie carcerarie Luis Alberto Arcos e Najera Sanchez Enrique e il responsabile dell'Ufficio ricezione del carcere di Playa del Carmen, Gomez Cruz. Assolti, invece, i due agenti della polizia turistica Francisco Javier Frias e Josè Alfredo Martinez. Tutti rispondevano a vario titolo di concorso in omicidio volontario, per aver sottoposto la vittima a trattamenti crudeli, inumani e degradanti.

Simone è morto dopo 42 ore di carcere senza cibo né acqua

Simone oggi avrebbe avuto 43 anni. È morto il 3 marzo 2007 mentre era in vacanza Oltreoceano. Due giorni prima era previsto il volo di ritorno a casa, ma la mattina si è svegliato tardi e, quando ha aperto gli occhi, si è trovato davanti gli agenti di polizia. Spaventato è uscito nel corridoio dell’albergo in boxer e per questo, secondo l'accusa, è stato condotto in carcere. Un tragitto di 6 minuti per cui è stata impiegata un'ora e mezza. Forse è stato picchiato, probabilmente gli sono stati chiesti i soldi per pagare la multa, ma lui aveva finito i contanti. Arrivato al carcere municipale, il medico in servizio gli ha diagnosticato un grave stato clinico dovuto a ipertensione e un sospetto principio d'infarto, prescrivendo immediati accertamenti in una struttura ospedaliera. Inspiegabilmente, però, le richieste del medico non sono state ascoltate e il turista salentino è stato trattenuto in stato di fermo senza ricevere assistenza sanitaria. Abbandonato a se stesso, senz'acqua e senza cibo, è rimasto chiuso in cella fino alla morte, arrivata dopo 42 ore di sofferenza.

La battaglia della madre, Cecilia Greco

La madre, Cecilia Greco, intanto era a casa ad aspettare il ritorno del giovane. Con grande apprensione, non riuscendo a mettersi in contatto con lui e a spiegarsi tanto ritardo, ha deciso di recarsi in Questura, a Lecce. Così è venuta a sapere della morte del figlio da un fax che conteneva i preventivi della cremazione del suo cadavere. Con tutte le sue forze, e con l’aiuto della sua famiglia, ha ingaggiato una battaglia per dare un volto e un nome agli assassini di suo figlio. Ad aiutarla il pm Angela Rotondano che, nonostante tutte le difficoltà e l’ostruzionismo incontrato, si è recata fino in Messico per indagare sulla morte del giovane.

"Un omicidio di Stato"

"Finalmente giustizia è stata fatta - dichiara l’avvocato Pasquale Corleto che assiste la famiglia insieme con l’avvocato Fabio Valenti -. Quello dei messicani è un omicidio di Stato. È in corso un procedimento internazionale tra Italia e Messico perché gli imputati sono tutti pubblici ufficiali e tra loro c’è anche un magistrato".

La Corte d’Assise di Lecce, presieduta dal giudice Roberto Tanisi, con una sentenza senza precedenti, ha condannato gli imputati anche al risarcimento dei danni, che saranno quantificati in sede civile, prevedendo una provvisionale di 150mila euro a favore della madre Cecilia e di 100mila euro a favore del fratello di Simone, Gaetano Renda.

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