Il New York Times si scopre luddista, quando ormai è troppo tardi. Il tramonto del giornalismo classico è cominciato con la febbre del gratis. Le notizie gettate in massa sulla rete per fare numeri. Il lavoro intellettuale come un passatempo, da pagare poco, da pagare male. Le opinioni un tanto al chilo per il piacere inutile di guadagnare «like». La tendenza a premiare come visibilità solo la logica binaria dello zero e dell'uno, come se su ogni argomento ci fosse solo la possibilità di scegliere il bianco o il nero, perché qualsiasi sfumatura ti rovina le parti in commedia. La scrittura basica, protocollare, che non racconta ma acchiappa. Sono vent'anni che si va avanti così, fregandosene dei diritti di autore e dei copia e incolla esponenziali. Adesso però c'è qualcosa, o qualcuno, che fa paura. Non se ne conosce il destino, ma l'impressione è che possa cambiare la vita e il mondo. Non si sa ancora fino a che punto. È la macchina intelligente, stereotipo di tanta fantascienza, che non è più miraggio, ma realtà quotidiana. Il quotidiano liberal e newyorkese si sente defraudato e ha deciso di fare una causa miliardaria a OpenAi e Microsoft. L'accusa è di plagio. L'intelligenza artificiale utilizza il lavoro dei giornalisti senza pagare dazio. Messa così sembra una scelta di orgoglio: noi fatichiamo e la macchina ruba. «Il giornalismo del New York Times è il lavoro di migliaia di giornalisti, il cui impiego costa centinaia di milioni di dollari all'anno». Non è però proprio così. La macchina in realtà non copia, non plagia, ma legge e studia. Lo ammettono gli stessi editori. «Milioni di articoli sono stati utilizzati per addestrare ChatGPT». Che significa? La macchina apprende e sviluppa le informazioni che ha. Si nutre di dati, notizie, letture, numeri, informazioni, storie, leggende, stili, narrazioni, interpretazioni.
Li fa suoi e scrive, ancora un po' impacciata, come un redattore pigro e burocratico. Il merito dell'intelligenza artificiale è il desiderio di apprendere. È «secchiona». Il paradosso del New York Times allora è questo. È come fare causa a Borges per la sua biblioteca universale.
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