Papa Francesco, durante la sua visita pastorale nei Paesi baltici, è intervenuto anche sulla cosiddetta "società del benessere". Quella tecnocratica, per mezzo della quale, per il pontefice argentino, è persino possibile perdere la "gioia di vivere". Bergoglio ha elogiato quei "successi" che contribuiscono a migliorare la vita delle persone, ma ha voluto registrare l'esistenza di una "fatica esistenziale", percepità dall'umanità e correlata magari a una certa forma assolutistica di progresso.
"Vivere bene", secondo la visione del Santo Padre, è un concetto che può non andare di pari passo con quello di "benessere". E una delle problematiche sarebbe rappresentata proprio da modalità di sviluppo tecnologico, che in alcuni casi non sembrano conoscere limiti: "Mettere tutta la fiducia - ha scandito il papa durante il suo passaggio in Estonia, l'ultima delle nazioni baltiche a essere visitata dal vescovo di Roma - nel progresso tecnologico come unica via possibile di sviluppo può causare la perdita della capacità di creare legami interpersonali, intergenerazionali e interculturali, vale a dire di quel tessuto vitale così importante per sentirci parte l'uno dell'altro e partecipi di un progetto comune nel senso più ampio del termine". Ma la messa in discussione delle relazioni sociali, per Francesco, comporta degli effetti spinosi. Per questa ragione le istituzioni sono chiamate, prima di tutti gli altri, a divenire "artigiani di legami": "Di conseguenza - ha continuato l'ex arcivescovo di Buenos Aires -, una delle responsabilità più rilevanti che abbiamo quanti assumiamo un incarico sociale, politico, educativo, religioso sta proprio nel modo in cui diventiamo artigiani di legami". Poi la chiosa più critica nei confronti della tecnocrazia: "Uno dei fenomeni che possiamo osservare nelle nostre società tecnocratiche – ha dichiarato, come riportato anche dalla Sir – è la perdita del senso della vita, della gioia di vivere e, quindi, uno spegnersi lento e silenzioso della capacità di meraviglia, che spesso immerge la gente in una fatica esistenziale".
É lo "sradicamento", ancora, a giocare un ruolo chiave nella perdita d'identità: "La consapevolezza di appartenere e di lottare per gli altri, di essere radicati in un popolo, in una cultura, in una famiglia può andare perduta a poco a poco privando, soprattutto i più giovani, di radici a partire dalle quali costruire il proprio presente e il proprio futuro, perché li si priva della capacità di sognare, di rischiare, di creare". É così che per il pontefice argentino si rischia di divenire "alienati", quando invece una "terra feconda", per essere davvero tale, avrebbe bisogno di "scenari a partire dai quali radicare e creare una rete vitale in grado di far sì che i membri delle comunità si sentano a casa". La forma di alienazione peggiore è data dal "non avere radici" e dal "non appartenere a nessuno".
Infine la conclusione del discorso, tutta riservata all'individuazione di un antidoto "contro" le rovinose conseguenze di una società priva di connessioni comunitarie: "Una terra sarà feconda, un popolo darà frutti e sarà in grado di generare futuro solo nella misura in cui dà vita a relazioni di appartenenza tra i suoi membri, nella misura in cui crea legami di integrazione tra le generazioni e le diverse comunità che lo compongono; e anche nella misura in cui rompe le spirali che annebbiano i sensi, allontanandoci sempre gli uni dagli altri".
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