Massacrato di botte da un gruppo di ragazzini ubriachi mentre era in servizio su un autobus notturno a corso Vittorio Emanuele II. Risale alla scorsa domenica l’ennesima aggressione sui mezzi pubblici della Capitale. Un fenomeno in progressivo aumento, dal centro alla periferia. Secondo il Corriere della Sera, soltanto nel 2017, sarebbero stati 50 gli episodi di violenza ai danni del personale Atac. Tra i casi più recenti c’è quello dell’autista colpito da un pugno in pieno volto sulla linea 723, nel quartiere Laurentino, del collega afferrato per un braccio sulla linea 85, in zona Arco di Travertino, o del controllore centrato da un balordo con una testata nei pressi della fermata Lido Centro, ad Ostia.
Ma, considerando anche i casi non denunciati, le aggressioni potrebbero essere molte di più. “Almeno 180 l’anno”, assicura Micaela Quintavalle, autista Atac e sindacalista. “Anche a me è capitato di essere minacciata con un coltello e rapinata mentre ero in servizio”, ci confessa quando la incontriamo al capolinea di Piazza dei Cinquecento, davanti alla stazione Termini. “Purtroppo da allora le cose non sono cambiate”, denuncia. A determinare il peggioramento delle condizioni di sicurezza è un mix di fattori: anzianità delle vetture, scarsa manutenzione dei sistemi di allarme e servizio scadente.
“Le vetture blindate sono ancora troppo poche e il pulsante da attivare in caso di emergenza spesso non funziona”, spiega la sindacalista. “Situazioni critiche sono ormai all’ordine del giorno, sia perché la città è diventata invivibile, sia perché spesso non siamo nelle condizioni di garantire un servizio regolare - racconta in forma anonima un conducente - e può capitare che le persone esasperate si scaglino contro di noi”. Le linee più a rischio sono quelle periferiche, ma la violenza può esplodere ovunque, anche in centro. “Ormai è solo una questione di fortuna”, ci dice allargando le braccia.
L’identikit dell’aggressore varia a seconda delle circostanze. “Dall’uomo in giacca e cravatta stufo di aspettare alla fermata, al clochard ubriaco, allo straniero senza biglietto, fino alle baby gang, come quella protagonista dell’ultima violenza”, spiega l’autista. Le bande di ragazzini entrano in azione soprattutto sulle linee che coprono i lembi più estremi della città. “Tra i palazzoni delle case popolari di Tor Bella Monaca uno dei passatempi dei minorenni era quello di colpire gli autobus a sassate, con il rischio di ferire conducente e passeggeri”, testimonia un altro dipendente.
Il piano anti-aggressioni promesso a dicembre dall’assessore alla Città in Movimento, Linda Meleo, non ha ancora visto la luce. Ma gli autisti non vogliono trasformarsi in sceriffi armati di spray al peperoncino. “Sono le forze dell’ordine che dovrebbero garantire la nostra sicurezza”, si lamenta un altro dipendente. “Ci sentiamo abbandonati dall’azienda e dalle istituzioni”, accusa la Quintavalle. La solidarietà, insomma, non basta più e, ci confessa, “in molti iniziano a pensare di lasciare il posto se trovassero un’alternativa adeguata”.
Sì, perché a bordo degli autobus in servizio sulle strade della Capitale si può anche rischiare la vita. Come è successo a Luana Zaratti, controllore dell’Atac che nel 2011 è stata massacrata da un egiziano che viaggiava senza biglietto. “Era il 5 agosto e stavo lavorando sulla linea 314 a Largo Preneste, quando gli ho chiesto di mostrarmi il titolo di viaggio mi ha rotto il setto nasale con una testata”, ci racconta dopo averci accolto nella sua casa di Centocelle. “Il 25 dicembre, dopo mesi di fortissime emicranie, sono entrata in coma per un’emorragia celebrale”. Da qui l’inizio del calvario, fatto di 19 interventi e 18 mesi di coma. Luana ripensa ai dolori, alle lacrime, alle sofferenze. A quegli attimi che hanno cambiato la sua esistenza e il suo volto di ragazza spensierata, che ora lotta passo dopo passo per riuscire ad alzarsi dalla sedia a rotelle e riprendere in mano la sua vita. “La 314 era una linea pericolosissima, frequentata da stranieri senza biglietto insofferenti ai controlli. L’avevamo fatto presente più volte all’Atac, ma loro se ne sono fregati”, accusa.
La rabbia contro l’aggressore si somma a quella per l’ingiustizia subita. Umiliati e offesi, come i protagonisti di un famoso romanzo, Luana e i suoi genitori aspettano ancora di essere risarciti.
“Abbiamo dovuto sostenere da soli le spese legali e siamo ancora in causa per riuscire a dimostrare il nesso tra l’aggressione e le condizioni di mia figlia, mentre l’Atac non si è costituita nemmeno parte civile al processo”, racconta il papà della ragazza. “A lui hanno dato solo 14 mesi, ma non si è fatto nemmeno un giorno di carcere”, denuncia Luana che, prima di quel fatidico giorno di agosto, era già stata aggredita 7 volte in 5 anni di lavoro.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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