«A good day», ha detto Biden parlando dell'eliminazione di Sinwar. E ha spiegato l'ovvio: l'eliminazione di questo terrorista, che ha sterminato anche famiglie americane insieme a quelle israeliane il 7 di ottobre, è una fortuna per il mondo. Gli stessi sentimenti sono stati espressi per l'eliminazione del leader degli Hezbollah, Nasrallah. Di fatto la scomparsa di questi due arci assassini e di altri loro pari è simbolicamente una promessa di pace vera. E non di quella auspicata da pii cessate il fuoco di cui sarebbero restati accesi i più pericolosi tizzoni. Si sa bene, nel consesso internazionale, che si può combattere il male, anzi, che si deve farlo, ma non se ne vogliono pagare i prezzi. Ma attraverso quanti inceppi, quante proibizioni, quanti pregiudizi, quante ipocrisie pacifiste Israele può farsi largo?
Sinwar è stato finalmente eliminato a Rafah mentre stava probabilmente per scappare oltre il confine egiziano di Tzir Filadelfi, traforato di gallerie: come, non vi ricordate questi due nomi? Sono i due luoghi su cui pendeva un furioso divieto di ingresso reiterato sia da Biden che dall'Unione Europee: a Rafah, sullo Tzir Filadelfi? Mai! L'esercito faccia un passo indietro. Menomale che per arrivare al «good day» dell'eliminazione di Sinwar e dell'indebolimento ormai irreversibile di Hamas e forse persino a una più facile trattativa sui poveri 101 rapiti nelle mani dei residui sbrecciati di Hamas, Netanyahu ha tenuto duro. Adesso, ha a che fare con l'insistenza sulla responsabilità della malnutrizione di Gaza, mentre introduce 350 camion di aiuti al giorno, sperando che le bande di delinquenti di Hamas non se ne impossessino. Ma nessuno guarda in quella direzione, non Biden né l'UE. Si aggredisce sempre Israele, e lo si minaccia di tagliargli le armi. Cosa c'entra? Mah, va insieme all'affermazione italiana che il 7 di ottobre le armi italiane sono state negate a Israele: un bel vanto davvero, con quello che gli israeliani avevano passato in quel giorno, proprio quello.
E adesso Nasrallah: Israele ha uno scopo unico nell'attaccare gli Hezbollah, sconfiggere chi ha sparato più di quattromila missili dal 7 ottobre, e riportare a casa 70mila sfollati. Deve per forza farlo, distruggere quindi le gallerie e i depositi di armi costruiti all'ombra delle basi dell'Unifil, cui Israele ha chiesto di spostarsi temporaneamente per questo scopo, prima di passare ai fatti: le azioni intraprese con dispiacere, non sono contro i Caschi Blu, ma contro gli Hezbollah che li usano come scudi umani. L'Unifil doveva intraprendere, secondo il suo statuto, «tutte le azioni necessarie» per impedire che dal Litani al confine si compissero azioni belliche delle due parti. Ma di parti ce n'è stata una sola, gli Hezbollah, e da parte dell'Unifil niente è stato fatto fuorché coprirli. Adesso Israele deve smontare tutte quelle strutture di guerra che l'Unifil ha lasciato costruire, lanciamissili e decine di gallerie ben attrezzate con ciò che serve a un'armata pronta all'invasione uguale a quella di Hamas, ma stavolta dal Libano in Galilea. La bellicosa insistenza con cui Francia, Italia, Spagna usano parole pesanti su Israele sottintendendo una inesistente aggressività nei loro confronti, confina di nuovo con le stravaganti richieste di cessate il fuoco. Certo gli abitanti del Libano vogliono veder sparire il tallone degli Hezbollah sulla loro vita, e Israele combatte per sopravvivere. Quale cessate il fuoco? Per combattere il male, bisogna semplicemente sgominare il nemico. Semplice, e così difficile da accettare.
Quando, a breve si dice, Israele si muoverà per rispondere al grande attacco missilistico iraniano, la promessa che questo conterrà è la stessa della lotta contro Hamas e gli hezbollah: un mondo migliore, di vera pace. Israele lo farà per tutti, come sempre, e si vedrà chi saprà capire la promessa.
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