Perché è necessario l'impegno di Donald

Sono sei i precedenti in cui il neo presidente è riuscito a riportare a casa gli ostaggi

Perché è necessario l'impegno di Donald
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I tempi dello scambio, l'attitudine alla trattativa e, non ultima, l'assonanza politica. Sono le tre ragioni che hanno convinto Giorgia Meloni a bruciare le tappe e affrontare il caso Cecilia Sala non con l'attuale amministrazione statunitense, ma con Donald Trump. Anche perché - vista la complessità e dunque le tempistiche del caso - sarà lui l'ago della bilancia di un negoziato destinato a dipanarsi tra Roma, Washington e Teheran. Senza dimenticare l'ammirazione di Trump per una Presidente del Consiglio considerata la miglior alleata d'Oltreoceano. Un'ammirazione rimarcata sabato sera quando ha definito Giorgia una «donna fantastica» che «ha preso d'assalto l'Europa». Al di là delle assonanze politiche la scelta di mettere il caso Sala nelle mani di Trump è anche dettata dall'analisi dei precedenti. Basta ripercorrere i sei negoziati, con successive liberazioni di ostaggi, conclusi durante il precedente mandato per capire che - nonostante i proclami d'inflessibilità - Trump è stato uno dei presidenti più propensi a ricorrere a trattative o scambi per riportare a casa gli americani detenuti all'estero. E questo per due motivi legati alla personalità di The Donald. Da una parte la psicologia dell'uomo d'affari abituato a compiacersi della propria capacità di convincere i peggiori nemici. Dall'altra l'abitudine ad esibire questi successi per guadagnare consensi. Il primo caso risale al maggio del 2018 quando Trump spedisce due senatori a incontrare il nemico Nicolas Maduro per riportare a casa il missionario mormone Joshua Holt detenuto da due anni in Venezuela. Nel frattempo inizia un braccio di ferro a colpi di dazi e sanzioni con l' «alleato» Recep Tayyip Erdogan. Lo scontro porta - nell'ottobre del 2018 - alla liberazione del pastore evangelico Andrew Brunson detenuto dal 2016 nelle prigioni turche con l'accusa di spionaggio. Nel novembre 2019 triangolazione - simile a quella da intavolare per risolvere il caso della giornalista Cecilia Sala - consente il ritorno a casa dell'americano Kevin King e dell'australiano Timothy Weeks, due professori rapiti dai talebani all'Università Americana di Kabul. Per farli liberare Trump non esita a far scarcerare tre leader talebani detenuti nelle carceri afghane. Ancor più interessanti per l'Italia sono le due successive trattative con l'Iran. Nel dicembre 2019 per liberare Xiyue Wang, un accademico dell'università di Princeton arrestato a Teheran e condannato a dieci anni per spionaggio, Trump fa rilasciare lo scienziato Masoud Soleimani accusato di esportazione illegale in Iran di prodotti sottoposti a sanzioni. Un caso che ricorda molto quello dell'iraniano Mohammad Abedini Najafabadi, detenuto a Opera. E un altro iraniano, Majid Taheri accusato pure lui di tentata esportazione a Teheran di prodotti sensibili, viene liberato nel luglio 2020. In cambio la Casa Bianca ottiene la scarcerazione di Michael White un veterano dei marine finito nelle galera iraniane con l'accusa di aver insultato la Guida Suprema. Nell'ottobre 2020 Trump riesce, infine, ad ottenere dagli Houthi la liberazione dell'operatrice umanitaria Sandra Lolli e dell'uomo d'affari Mikael Gidada ostaggi da tre e un anno dei militanti filo iraniani.

Uno scambio messo a segno dopo aver convinto l'Arabia Saudita a far liberare 250 prigionieri houthi detenuti in Oman. Insomma quando si tratta di negoziare la liberazione di un ostaggio e farsene merito Trump non è tipo da tirarsi indietro. E per questo Giorgia Meloni ha deciso di puntare su di lui per risolvere il caso Cecilia Sala.

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