Perché a questa Europa serve un governo di unità

La politica tende a perpetuare alcuni schemi ripetitivi, ma ci sono variabili di cui tenere conto. In Europa la variabile è la guerra

Perché a questa Europa serve un governo di unità
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A volte la politica in preda a impulsi spesso ideologici è spinta a una coazione a ripetere che si trasforma in una patologia perché non tiene conto dei cambiamenti che intervengono nella realtà. È il caso di quanto sta accadendo nelle tortuose trattative che tentano di disegnare i nuovi vertici europei. Ebbene, rispetto a cinque anni fa c'è una novità non di poco conto: da più di due anni ai confini dell'Unione imperversa una guerra che ha già causato centinaia di migliaia di morti; un conflitto che mina le basi del diritto internazionale visto che la Russia ha aggredito l'Ucraina mettendo in discussione la sua integrità territoriale, la sua indipendenza, la sua democrazia. E l'Europa c'è finita dentro visto che si è fatto carico, come giusto, di soccorrere una nazione in pericolo. Per quella scelta ora l'Unione è sottoposta alle minacce quotidiane dello Zar che paventa un giorno sì e un altro pure la terza guerra mondiale.

In una situazione del genere una comunità, una nazione, e nel caso gli Stati che fanno parte di un'Unione si sarebbero stretti e uniti (pensate agli Stati Uniti di Roosevelt o all'Inghilterra di Churchill), avrebbero tentato di raggiungere il massimo di compattezza e di compartecipazione negli equilibri che governano le loro istituzioni comuni su dei punti precisi e condivisi, al di là delle barriere ideologiche. Un'unità nazionale che noi abbiamo bene conosciuto come paese nei momenti difficili e che potrebbe trasformarsi nel lessico continentale in una sorta di unità europea.

Invece niente: manca il coraggio e la fantasia anche quando alle porte di casa il mondo brucia. Eppure basterebbe mettersi e mettere alla prova i possibili interlocutori. Si parte da un dato incontrovertibile: la maggioranza che ha governato le istituzioni europee, quella che elesse cinque anni fa Ursula von der Leyen, in queste elezioni ha retto. Sarà pure ammaccata, la destra, pardon le destre sono avanzate, ma i numeri sono dalla parte dei popolari nella loro alleanza con socialisti e liberali, benché quest'ultimi siano stati sconfitti.

Questo non significa, però, che non si debba allargare la base di consenso in un momento così delicato. Per farlo basterebbe avanzare una proposta, ad esempio, sull'Ucraina, precisare in termini chiari e definiti quale debba essere la posizione dell'Unione sull'argomento e vedere chi al di fuori della cosiddetta maggioranza Ursula è pronto a convergere. Magari si potrebbe scoprire che Giorgia Meloni è più atlantista e più filo-ucraina di altri pezzi della maggioranza tradizionale o, addirittura, che Marine Le Pen non è poi così filorussa come è stata dipinta. O forse il contrario, ma in quel caso le Regine sarebbero nude.

Purtroppo, però, in Europa la politica latita e il confronto si sta infrangendo sugli scogli del pregiudizio ideologico ancor prima di cominciare. Le chiusure sono nette, aprioristiche e improvvide. Nessuno tenta di verificare neppure se in Europa le destre sono tutte uguali o se, invece, come le sinistre, siano divise al loro interno da altri confini. E non mettendole alla prova si rischia anche di radicalizzarle, il che sarebbe un capolavoro alla rovescia almeno in politica. Tanto più che una larga intesa su una questione centrale come l'Ucraina, si porterebbe dietro probabilmente anche una maggiore sintonia su altri temi a cominciare da quella chimera che è l'esercito comune europeo.

Purtroppo, però, spesso si guarda all'Europa pensando all'orticello di casa. Lo ha fatto prima la nostra maggioranza di governo quando ha teorizzato il piano ambizioso di esportare la formula del centrodestra in Europa. E ora lo stesso errore lo stanno ripetendo Macron e Scholz che dopo essere stati battuti dalle destre nel loro Paese vogliono riprendersi una rivincita nei giochi di Potere dell'Unione ergendo muri di Berlino nei confronti della Meloni e della Le Pen. Solo che così l'Europa continua ad essere divisa, debole, bloccata e incompiuta. Soprattutto non matura quel comune sentire, quella solidarietà che dovrebbe unire una comunità.

Le barriere allungano l'infanzia dell'Europa, il confronto ne favorisce la maturità. In fondo se Moro con il confronto convinse Berlinguer ad accettare l'ombrello della Nato, non è detto che la von der Leyen dialogando con la Le Pen non la porti ad abiurare Putin.

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