C' è chi se ne va e spera che si tratti solo di un arrivederci. A pochi passi da piazza di Fontanella Borghese, dopo il passaggio di consegne con Mario Draghi, arriva il corteo delle macchine di Giuseppe Conte, che per l'ultima volta ha percorso il tragitto da Palazzo Chigi a casa sua. È con la compagna Olivia Paladino, la Melania Trump de noantri, che svetta accanto a lui. Ed è lui che questa volta incalza il cronista: «Ma non hai scritto, come mi avevi detto l'ultima volta, che sono simpatico?». «Certo che l'ho scritto, come no!», ribatte il cronista. Come tutti gli inquilini che traslocano da Palazzo Chigi, anche Conte ha un disperato bisogno d'affetto. È comprensibile: la politica è un virus che se ti contagia, non ti abbandona più. «Se ho un rammarico? No risponde, infatti perché bisogna guardare sempre avanti. Sempre. Io faccio sempre così. E spero che questa esperienza mi abbia migliorato come persona».
C'è, invece, chi non vede l'ora di tornare e giocare la sua partita. Pierferdinando Casini ha scoperto di avere il Covid, ma in questi momenti di grandi cambiamenti, morde il freno, ha una voglia matta di riprendere l'attività e, come sempre, una grande voglia di scherzare. Al cronista che ha predetto per Mario Draghi un approdo al Quirinale, Casini che si sente ancora più che mai in corsa, invia un messaggio vocale divertito dalla quarantena, citando una battuta presa di sana pianta da un western di Sergio Leone: «Solo tu hai fatto una previsione infausta che ti sarà smentita: hijo de puta! Naturalmente salvando quella santa donna di tua madre!».
La politica, anche con i governi tecnici o pseudo tecnici, non si ferma mai. Anzi, questi esecutivi possono essere paragonati a grandi ombrelli sotto i quali tutto si muove. E il governo Draghi forse è il più grande ombrello che ci sia mai stato. Un ombrellone. Il premier questa cosa la sa. Tant'è che tenta di mettere a riparo il suo esecutivo dai sommovimenti, profondi, che non mancheranno, cercando di ancorarsi ad un'immagine di neutralità. «Mi raccomando è l'ordine che ieri ha impartito ai suoi ministri la comunicazione deve essere sobria. Volate basso. Comunicate più con i fatti che con le parole. Parlar poco e lavorare. So che venite da esperienze differenti, da diverse provenienze, ma per ora le dovete mettere da parte. Sacrificate le identità per il bene comune con umiltà. Mai come ora l'unità di intenti è un dovere e una responsabilità. Il compito è immane, dobbiamo diventare subito operativi sapendo che per salvare il Paese i tempi sono stretti».
In fondo quell'espressione, unità di intenti, spiega le sue scelte sul governo. Draghi ha individuato nei partiti le personalità meno estreme, più moderate, che convergono verso il centro, quelle che sono più portate, per posizione e temperamento, a trovare un minimo comun denominatore. Ha preferito i leghisti governativi alla Giorgetti ai sovranisti (mandando su tutte le furie Salvini che si è sentito scavalcato). I moderati di Forza Italia (trascurando i nomi, da Tajani alla Bernini, segnalati da Berlusconi). Ha privilegiato i piddini post-democristiani, riducendo ad uno (Andrea Orlando) la presenza dei post-comunisti. E ha ridotto al minimo la presenza dei grillini, affidandosi ai soli «governisti». Al punto che ieri i 5stelle hanno tentato di far passare il fisico Roberto Cingolani, con tanto di fotografia sul sito del movimento, per uno di loro, per dimostrare agli insorti che aumentano di ora in ora malgrado gli aut-aut di Grillo, che le stelle splendono pure sul governo Draghi: il colmo, visto che Cingolani è stato scoperto anni fa da Renzi e ha curato le proposte di Italia Viva per il Recovery Plan. Cose che capitano, perché nei governi tecnici si fa molta politica. Ecco perché Draghi dovrebbe dosare «la continuità»: visto che nella gestione della pandemia sono stati fatti non pochi guai, confermato Speranza alla Sanità (decisione legittima), non puoi mantenere come Commissario per l'emergenza Domenico Arcuri con tutti gli incarichi che ha.
Fin qui il governo. L'ombrello. Ma l'aspetto più interessante sarà quello che avverrà sotto. Com'è avvenuto nei governi tecnici precedenti. Il governo Ciampi del 1993-1994 fu l'incubatrice del bipolarismo italiano. Il governo Dini del 1995-1996 mise in campo i duellanti che si sono contesi il Potere per 15 anni, Silvio Berlusconi e Romano Prodi. All'ombra del governo Monti sono nati i soggetti politici che ci accompagnano da dieci anni: dal renzismo, al grillismo, al sovranismo.
Anche sotto il governo Draghi nasceranno nuovi soggetti politici, nuove alleanze e nuovi odi. Un campo neutrale è il terreno più adatto per un amante della «politique d'abord» come Matteo Renzi, per le sue strategie, per le sue scommesse. In fondo il nuovo governo è la premessa di un equilibrio diverso. Ad esempio, sotto il tetto del Conte bis albergavano entrambe le magistrature interventiste, gli eredi delle toghe rosse e le toghe di rito davighiano (non per nulla Travaglio ne è un vedovo inconsolabile). Bersagli dichiarati di entrambe erano i due Mattei: basta leggere le cronache dell'ultimo anno. Mesi fa, quando già incombeva il caso Palamara, Renzi e Salvini, nello studio di uno dei due al Senato, parlarono proprio del problema della «magistratura politicizzata» e di una riforma della giustizia. Renzi propose: «Per fare una riforma della giustizia sono pronto a mettere in piedi un governo insieme a te». «La riforma della giustizia gli rispose Salvini la farò io quando andrò al governo». Da allora tanta acqua è passata sotto i ponti, ma intanto è stato archiviato il governo dal Dna «giustizialista», c'è una ministra «garantista» come la Cartabia e un campo neutro dove le alleanze trasversali sono possibili. Ecco perché Renzi spera: «Se Salvini è intelligente ci divertiremo».
Già, il governo tecnico favorisce il trasversalismo ma c'è bisogno di velocità, di dinamismo, di un confronto non ideologizzato. Ciò che manca al pd di Zingaretti, la cui strategia si risolve nella guardia al bidone di una maggioranza Pd, Leu, 5stelle già battuta, che con l'esplosione dei grillini è pure al tramonto. O nella speranza di una improbabile resurrezione di Conte. Ipotesi perdenti se si pensa che la crisi era partita con il veto personale a Renzi, mentre l'epilogo è stato il capolavoro per chi ha ancora un briciolo di onestà intellettuale - di Renzi. E con nuovi odi che non faranno bene alla sinistra. «In due anni prometteva una settimana fa il piddino Boccia estirperemo il renzismo». «Conte per quello che ha fatto ribatteva una settimana fa il leader di Italia Viva non merita neppure l'onore delle armi». Nel frattempo la Bellanova sul fronte Iv, e Gualtieri, Boccia e Amendola su quello del Pd, sono finiti fuori dal governo. Forse sotto l'ombrello neutro di un governo tecnico c'è da mettere la parola fine e costruire altro. Scriveva Machiavelli: «Non v'è nulla di più difficile da realizzare, né di più incerto esito, né più pericoloso da gestire, che iniziare un nuovo ordine di cose.
Perché il riformatore ha nemici tra tutti quelli che traggono profitto dal vecchio ordine, e solo dei tiepidi difensori in tutti quelli che dovrebbero trarre profitto dal nuovo». Ora, però, dopo i fallimenti di governi gialloverdi o giallorossi, all'ombra del governo Draghi, c'è «un nuovo ordine» politico da costruire.
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