Primo stop al vaccino: cosa succede adesso

A pochi giorni dal raggiungimento dell'accordo con la Commissione Europea, i test clinici per il vaccino sul quale puntava l'Italia sono stati sospesi per complicazioni in un partecipante al programma

 Primo stop al vaccino: cosa succede adesso

Stop ai test clinici per il vaccino sul quale puntava l'Italia entro la fine del 2020. Il gruppo farmaceutico AstraZeneca ha fatto sapere, con una nota stampa, che la sperimentazione condotta in collaborazione con l'università di Oxford è stata interrotta a causa di una reazione avversa sviluppata da uno dei partecipanti al programma. Cosa accadrà adesso, c'è da preoccuparsi?

"Lo stop non significa che il vaccino è morto. - spiega Sergio Abrignani, immunologo, ordinario di Patologia generale all’Università Statale di Milano in una intervista al Corriere della Sera - Non si tratta di una bocciatura perché è normale, quando si allarga il numero di partecipanti di un trial in fase di efficacia e sicurezza (in questo caso la Fase 3, ndr), che possano verificarsi reazioni avverse non necessariamente dovute al vaccino. Quello che è successo è la prova che gli studi di efficacia e sicurezza servono. In genere questi stop durano 6-8 mesi, ma se il problema dovesse essere facilmente individuato anche molto meno". La battuta d'arresto servirà ai ricercatori per disaminare i risultati sinora ottenuti e fare le valutazioni del caso poi "l’agenzia regolatoria per i medicinali (Ema o Fda) dovrà nominare un comitato di esperti indipendenti che dovrà rivedere tutti i dati e valutare se questo evento avverso inspiegabile è dovuto al vaccino, al caso o a situazioni che riguardano i pazienti'', spiega Abrignani.

Successivamente alle verifiche dell'Agenzia regolatoria per i medicinali, è probabile che la sperimentazione riprenda a pieno ritimo: "perché gli esperti concludono che non è dovuto al vaccino, ma più probabilmente a una singola condizione del soggetto. - spiega l'immunologo - Nell’altra metà dei casi resta il dubbio e proprio per questo si ferma lo studio, per un problema di sicurezza''. Ma può bastare un singolo caso di reazione avversa per bloccare il processo di sperimentazione? "Anche se si tratta di una sola persona la sperimentazione sui vaccini ha regole molto rigide: un solo caso di grave reazione avversa è sufficiente a sospendere temporaneamente tutto il processo. - continua il professore della Statale di Milano -Sono dispiaciuto di questo stop perché vuol dire che si ritarda, ma non sono sorpreso perché chi ha lavorato nel mondo dei vaccini sa che queste cose accadono spessissimo. Quanto accaduto è la dimostrazione che non verrà somministrato un vaccino giudicato insicuro pur di accelerare i tempi. Il meccanismo di controllo funziona''.

È stata lo stesso gruppo farmaceutico AstraZeneca a comunicare il problema di un grave avvento avverso e a interrompere la sperimentazione. Una procedura inevitabile ''perché se una casa farmaceutica non comunica una cosa del genere e lo scopre in un secondo momento l’agenzia regolatoria, viene ritirata la licenza. Ognuno sa che deve fare la cosa migliore ed è un meccanismo che funziona''.

Perché vi sia l’approvazione dell’Agenzia regolatoria di riferimento, si deve portare a compimento interamente la Fase 3 della sperimentazione - quella conclusiva - ma i tempi possono essere ridotti in misura di una situazione emergenziale. ''Esiste una sola eccezione, cioé che il rischio emergenziale per la comunità. - spiega Abrignani - Normalmente si porta a termine la Fase 3 ma se dovesse tornare una nuova fase pandemica come quella di marzo a Bergamo sarebbe giustificabile la somministrazione del vaccino in presenza di dati parziali ma che indicano che, almeno fino a quel momento, il farmaco è sicuro e funziona. Non si può escludere che l’avvento avverso possa verificarsi in un secondo momento ma è un rischio che si può prendere se c’è un beneficio vero.

In una situazione come quella in cui siamo adesso non è giustificabile la somministrazione del farmaco in Fase 3 , a meno che non lo si voglia offrire agli operatori sanitari, come ha proposto il ministro. Medici e infermieri lo possono accettare, su base volontaria, perché vivendo a diretto contatto di pazienti infetti sono sottoposti a un fattore di rischio importante, pur non essendo in una fase di emergenza''.

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