"Volete un caffè? È ancora caldo". Sono le 8 e mezza del mattino, ma sono tutti già svegli. Il sole comincia a scottare e dormire nelle tende diventa impossibile. Eppure, nessuno elemosina un sorriso, una stretta di mano, un gesto di accoglienza.
Beviamo un paio di caffè mentre parliamo delle difficoltà di vivere come "profughi". Anzi, di come si vive nel "Primo campo profughi per italiani". Una definizione che vuole essere una contraddizione. Provocatoria, di protesta. Da cittadini a "profughi", questo ci spiegano le 30 famiglie che da un mese vivono in un piazzale dormendo nelle tende da campeggio, senza luce e servizi igenici.
"Meglio così che in mezzo ad una strada"- spiega Gianluca che con la sua tenda è lì dal primo giorno di vita del campo. Un casa molti non ce l'hanno. O non l'hanno mai avuta. Una vita passata ad arrangiarsi tra parenti ed alloggi provvisori, nonostante siano tutti iscritti alle lunghissime liste di attesa per una immobile popolare del Comune di Roma.
Protesta, appunto. Il campo profughi per italiani, infatti, non è lì per un caso. Davanti c'è l’ex scuola privata Socrate, struttura che a breve dovrebbe ospitare un centro di accoglienza per richiedenti asilo, a Casale San Nicola, periferia nord della Capitale. E queste persone non si vogliono arrendere così: famiglie, donne incinte, bambini e neonati hanno bisogno che lo Stato li degni di uno sguardo. Insieme al campo profughi per italiani è nato anche il movimento di destra "Nessuno tocchi il mio popolo".
Ma guai a parlare di razzismo. Più volte ci viene ribadito che lì nessuno ce l'ha con i migranti in arrivo. "Tra noi – raccontano – ci sono famiglie straniere anch’esse in emergenza. Non è una questione di etnia ma di rispetto dei diritti ed equità di trattamento. Questo (la ex scuola Socrate, ndr) è un casale che potrebbe ospitarci tranquillamente, non capiamo però perché prima di noi vengano i profughi".
Spesso la strumentalizzazione è a portata di mano. Ma queste persone non la vogliono. Quello che chiedono è un po' di dignità: data da un tetto sopra la testa, dal desiderio di ricominciare e di sperare in una vita migliore.
Soprattutto per chi ora scalda il latte del proprio bambino di tre mesi su un fornellino da campo o per le due ragazze in dolce attesa costrette a dormire in una tenda o in macchina.La povertà è povertà per tutti. Le difficoltà restano difficoltà per tutti. Ma, troppo spesso, l'ingiustizia rimane ingiustizia verso chi ha bisogno di uno Stato che è sempre altrove.
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