Quell'arcivescovo che smentisce l'esistenza del diritto a migrare

L'arcivescovo di Trieste non ha dubbi: il mondo multiculturale non è un bene in sè e i popoli dovrebbero tendere a rimanere nella loro terra d'origine

Quell'arcivescovo che smentisce l'esistenza del diritto a migrare

Monsignor Crepaldi la pensa in maniera diversa rispetto alla maggior parte dei suoi 'colleghi'. L'arcivescovo di Trieste ritiene che al fenomeno dell'emigrazione non possano essere associate le qualità proprie di un diritto assoluto. Anzi, nell'intervista rilasciata dall'ecclesiastico a La Verità, si parla pure di "peseguire il bene comune", tenendo in considerazione, però, anche le effettivie "possibilità d'integrazione" e i "bisogni" di chi già risiede nel territorio del Vecchio Continente.

Crepaldi, che non è nuovo a posizioni di questo tipo, ricalca il pensiero espresso da Joseph Ratzinger quando, nel corso del 2013, pose l'accento sulla necessità di garantire pure il "diritto a non emigrare". Va bene l'umanitarismo, insomma, ma coloro che tentano di cambiare prospettiva di vita per moviti meramente economici, dovrebbero riflettere sul combattere per il raggiungimento di una condizione migliore all'interno dei loro paesi d'origine. Pure perché - si deduce leggendo i virgolettati dell'arcivescovo - le istituzioni religiose cattoliche dovrebbero "annunciare Cristo", piuttosto che occuparsi di gestione di fenomeni migratori. Ieri, abbiamo riportato le parole di mons. Crociata, che aveva espresso un concetto simile: a Cesare spetta il compito di decidere sull'accoglienza. Alla Chiesa cattolica, invece, debbono interessare le questioni spirituali. Ma c'è un problema culturale di cui invece è bene occuparsi.

"Non bisogna far finta - ha specificato il presule, che è un conservatore - che nella teologia islamica non ci siano elementi che rendono difficile l'integrazione". Crepaldi solleva così la questione dell'assoluta sovrapposizione tra quello che la legge musulmana prevede per la regolazione della società in cui opera e quello che la stessa confessione religiosa disciplina per coloro che gli aderiscono: "L'idea di Dio come volontà - ha continuato - le sue leggi come decreti a cui obbedire alla lettera, l'impossibilità di un diritto naturale, la coincidenza tra legge islamica e legge civile, la distinzione antropologica tra categorie di persone, la priorità dell'Umma sull'umanità allargata, l'espnasione come conquista...". Queste e altre caratteristiche minano una delle certezze propagandate da chi ritiene che un mondo multiculturale sia per forza destinato a contribuire alla pacificazione.

L'arcivescovo, in sintesi, si è schierato dalla parte di quei pochi consacrati che, di questi tempi, hanno osato porre al centro del tavolo alcuni punti critici derivanti da una visione troppo aperturista. Accogliere tutti, e sempre, può non costituire un bene.

Pure perché - aggiunge Crepaldi - la dottrina sociale dispone che "i popoli devono rimanere nelle loro terre". Dichirazioini che non saranno piaciute a tutti quei vescovi che, quotidianamente, attaccano il populismo.

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